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FOCUS ON - 2
LA PRESSIONE BASSA O
"IPOTENSIONE"
Lucia D'Addezio


La pressione
bassa, o "ipotensione", è un disturbo che
colpisce molti italiani. Si tratta della presenza di valori della
pressione sanguigna più bassi rispetto al normale, problema che può
manifestarsi con giramenti di testa, senso di affaticamento,
tachicardia, cute fredda, sudorazione e svenimento.
Purtroppo con l’arrivo del
caldo e dell’afa, questi sintomi possono aggravarsi oppure manifestarsi
anche in soggetti che, in condizioni normali, in genere non ne sono
affetti.
L’aumento delle temperature
esterne, infatti, comporta una reazione particolare dell’organismo.
La sudorazione, per esempio, può portare il corpo ad una lenta
disidratazione che comporta l’abbassamento dei valori della pressione
sanguigna. Allo stesso modo, la vasodilatazione (cioè l’aumento della
dimensione dei vasi sanguigni cutanei in risposta al caldo) favorisce la
diminuzione della pressione.
Entrambi questi meccanismi di
difesa del corpo possono causare problemi in coloro che già soffrono di
bassa pressione ma anche far comparire i sintomi in persone sane.
I sintomi delle crisi
ipotensive causate dal caldo non vanno presi sottogamba. Ma come
riconoscerli?
Avete la pressione bassa se:
-
vi gira improvvisamente la
testa
-
vi sentite stranamente
spossati ed affaticati
-
i vostri riflessi sono più
lenti
-
sentite le palpebre pesanti
e lo sguardo appannato
-
alzandovi di scatto,
sentite strani fischi nelle orecchie.
Come combattere la pressione
bassa in estate? Ecco alcuni consigli:
-
bevete molta acqua e
idratate il corpo in maniera appropriata
-
mangiate frutta
e verdura in abbondanza
-
evitate le bevande
alcoliche; se necessario, assumete integratori a base di Magnesio e
Potassio
-
evitate gli sforzi e
l’attività fisica nelle ore più calde della giornata
-
evitate i cibi grassi e
molto calorici, come i fritti,
ma anche i piatti troppo piccanti
-
tra gli alimenti che sono
un vero toccasana per la pressione bassa ci sono: la liquirizia, la
rapa, le mandorle, la radice di
ginseng, il germe di grano e la soia
-
nel caso di pallore,
sudorazione fredda, tachicardia e giramenti di testa improvvisi,
stendetevi in un luogo fresco, portando le gambe in alto; in casi
gravi non esitate nel contattare un medico.
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PREPARARE LA PELLE AL SOLE
Lucia D'Addezio


L’estate, si sa, è una stagione molto delicata e rischiosa per la pelle e
per la sua salute.
Anche a banalissimi errori nella cura della nostra epidermide durante le
prime esposizioni al sole, infatti, possono corrispondere gravi ed
irreparabili danni alle cellule e ai tessuti.
Per
evitare l’insorgere di problemi ed inestetismi, ma anche per proteggere
la pelle da patologie pericolose come il
melanoma, provate a seguire
questi semplici consigli su come preparare la pelle all’esposizione al
sole.
La prima,
fondamentale, regola da seguire è mantenere la pelle idratata e protetta
sempre, durante tutti e 12 i mesi dell’anno, cercando di non farsi
prendere dalla pigrizia e dalla mancanza di tempo. Mantenere la pelle
giovane, sana e bella è un processo duraturo nel tempo: usate sempre una
crema idratante ed una emolliente, fate periodicamente uno "scrub" e
detergete viso e corpo con prodotti adatti al vostro tipo di pelle.
Con
l’avvicinarsi dell’estate e dei mesi caldi, è buona norma iniziare a
bere di più. 2 litri di acqua al
giorno sono la dose minima indispensabile al corpo e alla pelle per
combattere la disidratazione.
Già da due
mesi prima dell’esposizione al sole, è buona norma mangiare cibi ricchi
di vitamine A,
B e C. Anche gli integratori alla provitamina A e gli antiossidanti
possono essere un valido aiuto per preparare la pelle al sole.
Se l’acqua
bevuta non dovesse essere sufficiente, prendete in considerazione l’idea
di ricorrere a degli integratori idrosalini.
Se
normalmente soffrite di eritemi solari o se siete molto propensi alle
scottature, provare ad eliminare dalla vostra dieta gli alimenti "a
rischio" come gli asparagi, i carciofi, i pomodori, ma anche bevande
come la birra. Questi contengono infatti sostanze che possono peggiorare
la situazione (Nichel e Istamina).
La dieta è
fondamentale per proteggere la pelle, nutrirla e consentirle di
abbronzarsi in maniera naturale. Via libera per frutta e verdura di
colore giallo e rosso, ricche di Betacarotene e vitamine. Tra queste ci
sono: le carote, i peperoni, le pesche, le albicocche, il melone,
l’anguria, e molto altro.
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ALLA LARGA DAGLI ENERGY
DRINK?

Secondo un commento
pubblicato online sul
Journal of American Medical Association
(JAMA) lo scorso gennaio, gli energy drink con un’alta quantità di
caffeina, anche quelli non alcolici, potrebbero essere rischiosi per
la salute. I ricercatori della
University of Maryland School of Public Health
e della
Wake Forest University School of Medicine,
a commento del loro studio, sottolineano l’importanza di avere
informazioni corrette ed etichette chiare e complete nell’aiutare i
consumatori a moderare le quantità. Bere prodotti a base di caffeina
infatti, sarebbe potenzialmente dannoso per tre ragioni.
Primo, la caffeina è
associata a effetti avversi sulla salute delle persone più
sensibili: non è un caso che nelle future mamme un’alta assunzione
possa provocare maggiori rischi di aborto tardivo e ridotto peso del
neonato alla nascita, mentre negli adolescenti produca un’alta
pressione sanguigna e disturbi al sonno.
Secondo, il mix tra
caffeina e alcol è molto pericoloso: «La pratica di miscelare le
bevande energetiche con l'alcol è più diffusa di quanto si crede -
scrivono i coordinatori della ricerca, Amelia Arria e Mary Claire O’Brien,
- ed è legata al consumo di grandi quantità di alcolici, con le
conseguenze che questo comporta, come comportamenti sessuali
violenti e guida in stato di ebbrezza. Le azioni in alcuni Paesi
contro la fabbricazione di bevande in cui energy drink e alcolici
sono già mixati è stato un primo passo importante, ma bisogna
continuare l'azione gli individui possono, infatti, ancora mixare le
bevande da soli, inoltre non esiste nessuna regolazione della
quantità di caffeina che questi drink possono contenere».
Terzo, anche se
dovranno essere condotte ulteriori ricerche a conferma di ciò,
sembra che l’uso di bevande a base di caffeina sia associato a una
maggiore dipendenza dall’alcol e da altre sostanza che creano
dipendenza.
Fonte:
http://jama.ama-assn.org/content/early/2011/01/21/jama.2011.109.full
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BACK TO
SCHOOL: PRIMA COLAZIONE PER BEN COMINCIARE
di Carla Favaro

Migliore capacità di memorizzazione, di attenzione,
di comprensione.
Nonostante gli ormai provati benefici legati ad una sufficiente e
corretta prima colazione, sono ancora troppi i bambini e i ragazzi
che la mattina affrontano la scuola senza aver mangiato. In Italia
questo fenomeno riguarda quasi il 40% degli studenti. Sono le
femmine che saltano la colazione più facilmente dei maschi,
probabilmente un "espediente" per dimagrire, mentre una recente
revisione sistematica degli studi ha evidenziato che l'abitudine di
fare regolarmente la prima colazione è associata nei bambini e negli
adolescenti ad un ridotto rischio di diventare sovrappeso o obesi.
Oltre ai vantaggi che derivano da un buon frazionamento delle
calorie giornaliere (importante per modulare l'appetito e gli
apporti energetici), l'abitudine ad iniziare la giornata con questo
primo pasto potrebbe spiegare l'associazione osservata fra regolare
consumo della prima colazione e migliori parametri metabolici,
quali, in particolare, minori livelli plasmatici di colesterolo
osservati anche nei bambini.

Dopo i tempi più rilassati
delle vacanze, il ritorno a scuola (e al lavoro, per i genitori) si
traduce in ritmi molto più serrati, spesso a scapito dei pasti,
soprattutto la prima colazione. Sarebbe un errore, però, non dedicare
tempo e attenzione sufficiente a quest'occasione alimentare che ha il
compito di rifornire l’organismo di energia e nutrienti dopo il lungo
digiuno notturno. Alla prima colazione, infatti, viene attribuito
un ruolo di grande importanza
sia per lo stato generale di benessere e di salute sia
per le performance, comprese quelle scolastiche. A questo riguardo,
l’abitudine di fare regolarmente la prima colazione è stata associata ad
un miglioramento della capacità di
memorizzazione, del livello di attenzione, della capacità di risoluzione
di problemi matematici e della comprensione durante la lettura e
l’ascolto (1).
Eppure sono ancora molti gli
studenti che il mattino escono di casa senza aver mangiato. Dall’esame
di 47 studi osservazionali condotti sia negli USA che in Europa, è
risultato che dal 10 al 30% dei bambini ed adolescenti salta la prima
colazione (2). Dati simili sono stati osservati di recente anche
nell’indagine OKkio alla Salute, nella quale è risultato che
l’11% dei bambini non fa la prima colazione ed
il 28% non la fa in modo adeguato (3).
Le femmine saltano la
colazione più facilmente dei maschi e questo
potrebbe essere connesso in qualche modo con l’insoddisfazione per il
proprio peso corporeo o potrebbe anche rappresentare un "espediente" per
dimagrire (2, 4). Un espediente, però, controproducente dal momento che
se si salta la prima colazione è facile poi aver fame durante la
mattinata o arrivare troppo affamati all’ora di pranzo, rendendo più
difficile il controllo. Del resto, anche una recente revisione
sistematica degli studi ha evidenziato che
l’abitudine di fare regolarmente la prima colazione è associata nei
bambini e negli adolescenti con un ridotto rischio di diventare
sovrappeso o obesi (5).
BIBLIOGRAFIA
1. Marangoni F. et.al.: A
consensus document on the role of breakfast in the attainment and
maintenance of health and wellness - Acta Biomed. 2009 Aug;
80(2):166-71. Review
2. Rampersaud G.C. et al.:
Breakfast habits, nutritional status, body weight, and academic
performance in children and adolescents. J Am Diet Assoc. 2005 May;
105(5): 743-60
3. Rapporti ISTISAN 09/24:
OKkio alla SALUTE: sistema di sorveglianza su alimentazione e attività
fisica nei bambini della scuola primaria - Risultati 2008. Istituto
Superiore di Sanità
4. Shaw M.E.: Adolescent
breakfast skipping: an Australian study Adolescence - 1998 Winter;
33 (132): 851-61
5. Szajewska H., Ruszczynski
M.: Systematic review demonstrating that breakfast consumption
influences body weight outcomes in children and adolescents
(Fonte:
http://www.assolatte.it/assolatte/index.jsp)
Carla
Favaro
Professore
a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Scienza
dell'Alimentazione
Università
Milano Bicocca
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L'ALLENAMENTO FISICO PROTEGGE I MASCHI DALL'ICTUS

Un allenamento fisico
regolare, soprattutto se praticato dopo i quaranta anni, protegge gli uomini dal
rischio di ictus. Secondo uno studio condotto su cittadini newyorkesi,
pubblicato su "Neurology", gli uomini che fanno con regolarità un'attività
fisica da moderata a intensa sono meno a rischio ictus rispetto ai sedentari o a
quelli che si limitano a walking, golf o bowling. Lo stesso effetto, precisano i
ricercatori del Columbia University Medical center e del New York Presbyterian
Hospital (Usa), non è stato rilevato nelle donne più sportive.
La ricerca ha coinvolto 3.298 abitanti della parte settentrionale di Manhattan
(NY), con un'età media di 69 anni, seguiti per 9 anni. In questo periodo si sono
verificati 238 ictus. In generale il 41% dei partecipanti non faceva attività
fisica, il 20% si dedicava a discipline di moderata o elevata intensità e il
resto si dedicava a sport più "tranquilli". I risultati hanno confermato che il
gruppo più sportivo è risultato il 63% meno a rischio di ictus rispetto ai
pigri.
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BAMBINI E
DIETA MEDITERRANEA: CRESCERE IN SALUTE
Giorgio
Pitzalis
Specialista in Pediatria, Gastroenterologia e Scienze Nutrizionali
Pediatriche
Comitato Scientifico Associazione "G. Dossetti: i Valori"

www.giustopeso.it

In Italia 4 bambini su 10 in età scolare sono sovrappeso od obesi.
Nei Paesi industrializzati c'è il rischio che l'aspettativa di vita dei
figli sia inferiore a quella dei loro genitori, proprio a causa delle
patologie derivanti dall'eccesso ponderale. Ancora oggi, in tema di
nutrizione, l'informazione è frammentaria, talvolta incompleta e il più
delle volte mediata da interessi commerciali. L'attenzione posta agli
alimenti assunti quotidianamente spesso è superficiale e il cibo
continua ad essere costantemente veicolo di affetto o attenzione.
Intanto l'elogio della dieta mediterranea, ad opera del ricercatore
americano Ancel Benjamin Keys compie 40 anni. Pane, pasta, legumi, latte
e formaggi, olio d'oliva, frutta, verdure ed ortaggi, pesce e carni
alternative sono i cibi più rappresentativi della tradizione alimentare
mediterranea, che anche nei Paesi più industrializzati viene oggi
proposta come modello ideale di alimentazione, sulla base di vasti studi
epidemiologici. Esistono infatti valide prove scientifiche che
un'alimentazione come quella mediterranea riduca notevolmente i rischi
di insorgenza di obesità, aterosclerosi, diabete, ipertensione, malattie
digestive, ecc. All'estero vengono così rivalutate le sane e più tipiche
abitudini alimentari dei popoli del bacino mediterraneo, abitudini che
peraltro sono state oggi da noi abbandonate, perché considerate
espressione di "vita povera". Come conseguenza, oltre a spendere molto
di più, mangiamo male (cioè in modo poco equilibrato) e troppo. Un
esempio? 1 solo biscotto o 1 brick di succo di frutta possono apportare
all'organismo anche 100 kcal che, se in eccesso rispetto al fabbisogno,
possono "regalare" in poco più di 2 mesi 1 kg di peso. Gli alimenti
tipici della tradizione mediterranea sono adatti anche a costituire
facilmente dei "piatti unici", capaci cioè di fornire da soli l'apporto
nutritivo degli usuali "primo" e "secondo", sostituendoli efficacemente
ed economicamente in un unica portata. Esempi tipici: pasta e fagioli (o
ceci o lenticchie), spezzatino con patate, paste asciutte o riso con
condimento di carni, pesce o formaggi, minestrone con formaggio
grattugiato, la pizza, ecc. Far seguire a questi "piatti unici" un
"secondo" tradizionale è inutile ed eccessivo: è infatti sufficiente la
sola aggiunta di verdura fresca e di frutta per realizzare un pasto
completo, nutrizionalmente equilibrato e poco costoso. In generale la
dietoterapia dell'obesità (anche in età evolutiva), deve essere in primo
luogo bilanciata a livello dei macronutrienti (proteine, lipidi,
carboidrati) e moderatamente ipocalorica. Particolare attenzione
meritano i bambini in età scolare: questa è la fascia di età più colpita
dal fenomeno sovrappeso-obesità: è bene consigliare loro di seguire una
dieta bilanciata in termini di proteine, carboidrati e lipidi. A questo
proposito la dieta mediterranea (Italian way of eating) assicura una
giusta quota di proteine (15%), dando comunque lo spazio che merita ai
carboidrati (60%), non lesinando i grassi o lipidi (25%). In pratica,
queste possono essere le corrette indicazioni alimentari in età
evolutiva:
-
preferire i cereali integrali con ridotto indice glicemico (pasta,
orzo, riso, etc.) rispetto a quelli con indice glicemico più alto
(pane, patate, etc.)
-
contenere il consumo proteico (carni rosse, insaccati, formaggi)
-
incentivare il consumo di frutta e verdura di stagione
-
utilizzare spesso grassi "buoni" (olio d'oliva extravergine, pesce),
e qualche frutta secca oleosa con guscio, come noci, mandorle,
pinoli (1-2 volte/sett.)
-
insaporire ed esaltare gli aromi con abbondante uso di erbe
aromatiche piuttosto che con intingoli complessi
-
mantenere un buon ritmo fame - sazietà (meglio 5 pasti al giorno)
-
variare
gli alimenti nell'arco della settimana
-
bere
molto (1,0-1.5 litri di acqua al giorno) limitando quanto più
possibile i soft drinks
-
assumere i dolci con parsimonia (piccole porzioni alla settimana di
dolci semplici).
Cosa altro
aggiungere? Svolgere quotidianamente un adeguato livello di attività fisica!
Chi vuole fare presto un grande fuoco
inizia con piccoli ramoscelli (William Shakespeare)
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ANORESSIA: SCOPERTO DIFETTO CEREBRALE CHE PREDISPONE ALLA MALATTIA

Problemi
con la famiglia, con i coetanei o semplicemente con la propria immagine:
nessuna di queste motivazioni di natura sociale sembrerebbe essere la
vera ragione per cui una ragazza o un ragazzo sviluppa
problemi del comportamento alimentare,
come l'anoressia.
Alla base
del disturbo, secondo uno studio inglese, ci sarebbe infatti una
predisposizione genetica legata a un difetto nello sviluppo del
cervello. Un'anomalia che si sviluppa già nell'utero materno. Parola dei
ricercatori del Great Ormond Street Hospital di Londra, che ne hanno
parlato in una conferenza convocata all'Institute of Education della
capitale inglese a marzo 2009.
Per la
rivoluzionaria ricerca - riporta il tabloid "Daily Mail" - lo psichiatra
infantile Ian Frampton ha studiato oltre 200 pazienti anoressici, in
maggior parte donne fra i 12 e i 25 anni, di nazionalità britannica,
americana e norvegese, ricoverati in cliniche specializzate di Edimburgo
e Maidenhead.
Dalle
analisi è emerso che il 70% del campione ha un danno a livello della
rete neurotrasmettitrice del cervello.
Si tratta
di condizioni tipiche anche di altre malattie come la dislessia,
l'iperattività e la depressione.
In sintesi,
anche l'anoressia potrebbe diventare una malattia curabile con una
pillola. "Le motivazioni che finora si pensava fossero alla base dei
disturbi alimentari, come la pressione dei modelli di magrezza imposti
dai media - sottolinea Frampton - non spiegavano scientificamente come
mai alcune persone cadono nella rete dell'anoressia e altre no. Esistono
invece fattori predisponenti che, oltretutto, potranno sollevare i
genitori dal senso di colpa e di responsabilità di fronte a un figlio
malato.
Si apre
quindi la strada per studiare farmaci che possano ristabilire
l'equilibrio cerebrale di chi è colpito da questa malattia".
[Fonte:
UNIVADIS - Roma 30 marzo 2009 (Adnkronos
Salute)]
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DAL CONGRESSO SINU 2008 UN Sì
PIENO PER IL CAFFè AGLI
ANZIANI

Sì al consumo moderato, con o senza
caffeina: il caffè è un toccasana per gli anziani, soprattutto per
quelli che della bevanda fanno uso da sempre. Sono i suoi molteplici
costituenti, polifenoli e caffeina, a decretarne l'effetto positivo
sulla salute nella terza età. E del resto numerosi studi epidemiologici
dimostrano in assoluto l'assenza di relazione fra consumo di caffè e
mortalità in generale. Questo quanto emerso durante il Congresso SINU
(Società Italiana di Nutrizione Umana) "Invecchiamento e longevità:
evidenza in campo nutrizionale" che ha avuto luogo a Roma l'11 e il 12
dicembre 2008.
Interessante l'approccio scientifico INRAN (Istituto Nazionale di
Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione) che auspica e prospetta uno
studio sulle molecole bioattive del caffè (tra cui i polifenoli appunto)
dopo l'ingestione della bevanda.
Ciò per evidenziare quali siano i cambiamenti metabolici indotti e quali
siano i meccanismi "genetici" attraverso cui tali cambiamenti avvengano.
Bere caffè significa aumentare la concentrazione plasmatica di acido
caffeico (un polifenolo) e di conseguenza aumentare la capacità
antiossidante totale del plasma, ma anche diminuire l'aggregazione
piastrinica e modulare l'espressione genica.
Quando poi si tratta di consumo protratto
nel tempo, valutato come numero di tazze/die, l'ingestione di caffè
(anche per il suo contenuto in caffeina) promette miglioramenti nei test
cognitivi e, ancor meglio, è proprio l'assunzione abituale di caffè che
protegge dall'insorgenza di Parkinson e di Alzheimer e dall'insorgenza
del diabete di tipo 2 (frequente in età avanzata). E ancora: il caffè,
proprio per le sue componenti antiossidative, è protettivo rispetto alla
cellula epatica, tutelando dal danno di cirrosi alcoolica e non
alcoolica fino a prevenire l'eventuale esordio di carcinoma epatico.
Nulla da eccepire poi se si parla di pressione: la tazzina
post-prandiale è l'ideale per contrastare il fastidioso calo pressorio
del dopo pasto, così frequente negli anziani.
(Approfondimenti in merito, oltre che aggiornamenti scientifici sul
tema, nelle varie patologie e differenti momenti fisiologici, sono
reperibili sul nuovo sito
www.caffemedicina.it, interamente dedicato ai professionisti della
salute)

80 milligrammi di caffeina, tale è il contenuto medio di
una tazzina di caffè all'italiana prodotta con la Moka.
Di fronte a questo dato sorgono ovvie domande sull'interazione
caffè/caffeina e salute alle quali la ricerca scientifica, ha,
soprattutto nell'ultimo ventennio, cercato di dare risposte.
CONTENUTO MEDIO STIMATO DI CAFFEINA IN ALCUNE
BEVANDE E ALIMENTI |
Bevanda o alimento |
Quantità |
Bevanda a base di
cola
Caffè americano
Decaffeinato
Espresso
Moka
Istantaneo
Istantaneo
decaffeinato
Cappuccino
Cioccolata
(barretta di 60 g)
Tè |
35-50 mg per
lattina
115-120 mg per
tazza (c.ca 150-200 cc)
< 5 mg per tazzina
Fino a 40 mg per
tazzina
Fino a 80 mg per
tazzina
65-100 mg per
tazzina
< 5 mg per tazzina
70-80 mg per tazza
(c.ca 120 cc)
30-40 mg
40-50 mg per tazza
(c.ca 120 cc) |
Fonte
Coffee Science Information Centre
Puntuali e positive, le ricerche hanno ormai sfatato il luogo comune che
bere caffè fa male, ma, ancora oggi si nota confusione causata sia
dall'avventatezza con cui si interpretano i dati scientifici sia dai
sistemi di ricerca assai differenti fra loro.
Effetti sull'organismo della
Caffeina e degli altri componenti il
Caffè |
Melanoidine
Le melanoidine del caffè grazie alla incorporazione nella
loro struttura di notevoli quantità di acido clorogenico
esercitano una potente azione antiossidante la cui
conseguenza si ripercuote positivamente su una serie di
attività biologiche tra cui quella antibatterica e
antimutagenica che possono considerarsi benefiche per il
tessuto intestinale e per l'intero organismo con una
diminuzione del rischio di malattie degenerative e
un'attività protettiva nei riguardi delle patologie
cronico-degenerative. (fonte INRAN e Università "Federico II"
di Napoli).
Niacina (Vit. PP)
Componente essenziale dei coenzima trasportatori di idrogeno
(NAD e NADP) che presiedono a funzioni biochimiche
fondamentali per la normale integrità tissutale (cute), nel
tratto gastroenterico e nel sistema nervoso. L'acido
nicotinico esercita due importanti azioni farmacologiche:
Vasodilatazione periferica e abbassamento del colesterolo
sierico.
Potassio
Interviene nella trasmissione nervosa e nella regolazione
dell'equilibrio acido-base e del bilancio idrosalino.
Metilxantine
Le metilxantine presenti nel caffè sono: la caffeina, la
teofillina, la teobromina. Eccone i principali effetti
farmacologici:
Sistema/Organo |
Effetti delle
Metilxantine del Caffè |
Cardiovascolare |
|
Cuore |
Ionotropico/cronotropico
positivo |
Vascolarizzazione |
|
Coronarie |
Dilatazione |
Renale |
Dilatazione |
Periferica |
Dilatazione |
Centrale |
Costrizione |
Respiratorio |
Broncodilatazione
Stimolazione della respirazione |
Renale |
Diuresi
Stimolazione del rilascio di renina |
Gastrointestinale |
Stimolazione della
secrezione gastrica |
Muscolatura liscia |
Rilassamento |
Adiposo |
Stimolazione della
lipolisi |
Piastrinico |
Inibizione
dell'aggregazione |
Nervoso centrale |
Stimolazione |
Fonte:
Caffeine, Coffee and Health edited by S. Garattini (Ist.
Farmacologico M. Negri) |
La caffeina ha quindi funzioni farmacologiche, ma alle dosi
comunemente consumate con il caffè ha effetti assai modesti.
Per avere effetti farmacologici tipici bisogna consumare
dosi molto elevate in un tempo ristretto (300 mg di
caffeina/da 4 a 6 caffè all'italiana in un'unica dose) data
la breve emivita della caffeina (4 mg/Kg di peso corporeo =
emivita di 2.5-4.5 ore). |
EFFETTI DEL CAFFè
Funzioni metaboliche:
Non aumenta il colesterolo ematico, non incrementa le LDL.
Incrementa la termogenesi. Previene dal Diabete II.
Sistema cardiovascolare: non vi sono
associazioni tra consumo e ictus, malattia coronaria. Non
incide sul rialzo pressorio se non nell'immediato con
somministrazione acuta.
Apparato urinario: ha effetti diuretici;
stimola il rilascio di renina; non è associato al cancro al
rene.
Sistema nervoso: variabile individuale.
Favorisce lo stato di allerta e le performance cerebrali.
Protettivo nei confronti della malattia di Parkinson e
Alzheimer.
Apparato gastrointestinale: digestivo;
previene da CCR; cancro esofageo, gastrico; stimola
l'attività propulsiva del colon.
Funzioni epatobiliari: previene da Cirrosi
epatica e epatocarcinoma; stimola la cistifellea; previene i
calcoli biliari. Da evitare solo se già in presenza di
calcolosi.
Apparato muscolo scheletrico: stimolatore
della performance fisica.
Il
decaffeinato non è mai sconsigliato
Il caffè decaffeinato, fatto salvo la esigua quantità di
caffeina che quindi ha minor effetto su sistemi, apparati,
etc., mantiene buona parte delle qualità benefiche del
caffè. La recente accusa di provocare un rialzo
colesterolemico e quindi di annoverarlo fra i possibili
fattori di rischio per le malattie cardiache è stato sfatato
dalla comunità scientifica tra cui INRAN e Nutrition
Foundation of Italy perché non è emerso - nei consumatori di
decaffeinato - alcun incremento della colesterolemia. A
supporto una valutazione di ben 8 studi (American Journal of
Epidemiology 2001) che conclude negando qualunque differenza
tra gli effetti sui lipidi e sulle lipoproteine plasmatiche
del caffè normale e del decaffeinato, ma escludono
differenze sia sulla colesterolemia, che sulla
trigliceridemia e sui valori del colesterolo HDL o dell'apo
B.
Gravidanza e Allattamento: Per quanto
relativo la Gravidanza si sottolinea che la diminuzione di
consumo di caffè avviene naturalmente nella buona parte dei
casi ed è conseguente alle nausee. Il recente studio
condotto dal Dott. Fabio Parazzini (Ist. Farmacologico Mario
Negri) "Consumo di Caffè in gravidanza e rischio di nascite
pretermine" e pubblicato su European Journal Clinical
Nutrition, Feb, 59(2): 299-301, esclude una associazione tra
assunzione di caffè e rischio di ritardo di crescita
intrauterina e parto pre-termine. Resta comunque confermato
che il consumo di alimenti nervini in gravidanza e anche
durante l'allattamento va controllato in quanto gli
alcaloidi sono escreti con il latte materno e possono
generare irritabilità. Si suggerisce pertanto l'utilizzo di
prodotti decaffeinati.
Anziani: se non vi sono controindicazioni
legate ad ipertensione o altre patologie, il caffè può
essere consumato in moderate quantità.
Sportivi: non vi sono controindicazioni di
sorta ma anzi il caffè stimola la performance fisica.
Bambini: l'emivita della caffeina resta
identica a qualunque età. Pertanto è da valutarsi il consumo
di qualunque prodotto contenente tale alcaloide. Per quanto
sopra provoca meno problemi una tazza di latte macchiato con
caffè rispetto a bevande tipo cola. |
|
EMICRANIA E ANORESSIA, STESSA ORIGINE?
Antonio Caperna (tratto da: La Repubblica Salute – Giugno 2008)

Dal convegno dell'Associazione
Ricerca sulle Cefalee, un'ipotesi: disfunzione nelle medesime aree
cerebrali?
La disfunzione delle
medesime aree cerebrali alla base del legame tra i disturbi del
comportamento e gli attacchi di emicrania. È l'affascinante ipotesi,
presentata al III Congresso Nazionale A.N.I.R.CEF. (Associazione
Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee) "Le Comorbilità e la
Farmacocoresistenza nelle Cefalee. Attualità e prospettive" che si è
tenuto recentemente a Taormina. Due studi dimostrerebbero una
comorbilità nascosta tra le due patologie.
Nelle donne anoressiche e
bulimiche la percentuale di emicraniche è significativamente più elevata
rispetto alla popolazione normale; il 75-83.5 % delle anoressiche e
bulimiche soffre anche di emicrania, contro il 12,5% delle coetanee che
non hanno problemi con il cibo. Inoltre nella maggior parte dei casi
(68,1%) i primi sintomi del disturbo alimentare coincidono con i primi
attacchi di emicrania o addirittura li precedono.
Questi dati, emersi a
Taormina, sono stati presentati in occasione del X congresso dell'Ansisa
(Associazione nazionale specialisti in scienze dell'alimentazione), che
si è tenuto a Vicenza. Roberto Ostuzzi, presidente Ansisa, ha infatti
collaborato con Giovanni D'Andrea, presidente Anircef, nella
realizzazione della ricerca.
"Il secondo studio invece ha
valutato il profilo biochimico, scoprendo simili disordini nelle due
categorie. L'ipotesi che l'emicrania possa favorire l'insorgenza dei
disturbi alimentari è confortata anche dal riscontro in entrambe le
patologie di una disfunzione delle stesse aree cerebrali: ipotalamo,
corteccia limbica e amigdala", spiega D'Andrea, "Proprio in queste zone
si concentrano infatti particolari recettori denominati "tars" (trace
amine receptors), ai quali si legano le cosiddette amine elusive, così
chiamate perche erano sempre sfuggite a ogni indagine di laboratorio.
Dosando queste sostanze e le catecolamine nel plasma e nelle piastrine,
abbiamo registrato concentrazioni alterate rispetto a chi non soffre
delle due patologie". Dallo studio, infatti, emerge che la dopamina è
aumentata nelle emicraniche e moltissimo in chi soffre di disturbi
alimentari. Parimenti accade per la tiramina, mentre la noradrenalina
diminuisce per entrambe.
"Un discorso diverso invece
va fatto per l'octoparmina, che si innalza in chi soffre di emicrania,
ed ha concentrazioni normali nelle anoressiche mentre è bassa nelle
bulimiche" analizza l'esperto. "Questa sostanza, oltre ad essere un
neuro modulatore, è anche importante per il metabolismo dei lipidi:
quando la sua concentrazione diminuisce, aumenta la massa grassa del
soggetto", chiarisce D'Andrea.
Alla base dell'emicrania
quindi vi sarebbe un disordine omeostatico delle sinapsi nervose, cioè
del giusto equilibrio tra neurotrasmettitori e neuro modulatori, che nel
soggetto normale permettono la corretta trasmissione delle informazioni.
"Questa distorsione a livello sinaptico è ancor più accentuata nei
centri nervosi delle persone che soffrono di anoressia o bulimia",
conclude D'Andrea, "quindi, secondo la nostra ipotesi, i disturbi
alimentari dipenderebbero dall'anomala attivazione di questi circuiti".
GENI,
RELAZIONI E PSICOLOGIA
DA cosa nasce un
disordine alimentare? La risposta degli esperti, finora, è
legata al concetto di multifattorialità. Così il Centro
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della
Salute dell'Istituto Superiore della Sanità lo descrive:
"malattia complessa, risultante dall'interazione di
molteplici fattori biologici, genetici, ambientali, sociali,
psicologici e psichiatrici; c'è comunque da parte del
paziente una ossessiva sopravvalutazione dell'importanza
della propria forma fisica, del proprio peso e corpo e una
necessità di stabilire un controllo su di esso ... Si
evidenziano, oltre a una componente di familiarità (studi
transgenerazionali e sui gemelli hanno dimostrato che i
disordini alimentari si manifestano con più probabilità tra
i parenti di una persona già malata, soprattutto se si
tratta della madre), l'influenza negativa da parte di altri
componenti familiari e sociali ...". Questi disturbi
"possono anche dipendere da situazioni particolarmente
traumatiche: violenze sessuali, comportamenti abusivi,
drammi familiari". |

EPIDEMIOLOGIA
Cibo, problemi
per un milione di donne
OLTRE un milione
di donne Italiane è alle prese con seri problemi di
alimentazione. È l'allarme lanciato a Vicenza, in occasione
del X Congresso Nazionale ANSISA. "I dati epidemiologici ci
dicono che In Italia, come negli altri paesi occidentali,
Anoressia e Bulimia rappresentano un problema sociale e
sanitario di grande rilevanza ", afferma Roberto Ostuzzi,
Presidente del Congresso e di ANSISA, "Se è vero che le
donne sono le più colpite e che il 20-30% di loro va
incontro a una cronicizzazione, è preoccupante anche la
crescita del numero di maschi che hanno un rapporto
difficile con l'alimentazione". La valorizzazione della
magrezza quale mezzo di affermazione sociale, Il mito del
successo, le elevate richiesta di performance, il timore del
giudizio altrui, la necessità di sentirsi accettati sono
solo alcuni di quei fattori che giocano un ruolo cardine
nell'insorgenza di patologie legate all'alimentazione. |
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INFLUENZA E ANTIBIOTICI

Quest'anno evitare
l'influenza sarà veramente difficile. Anche se finora i 3 virus
"incriminati" (due australiani e uno della Florida sono sembrati poco
attivi, l'abbassamento delle temperature ha fatto iniziare l'attacco e
dopo la metà di gennaio (queste sono le informazioni che arrivano dal
Ministero della Salute) si raggiungerà il picco massimo.
Quindi se già per Capodanno
"l'australiana" ha già messo a letto circa 500.000 italiani tra adulti e
bambini, si prevede un numero di circa 5-7 milioni di casi tra metà
gennaio e fine febbraio. Le fasce di età più colpite sono i bambini e
gli adolescenti, con maggior incidenza in quella che va da 0 a 4 anni.
I vaccinati in Italia sono
stati oltre 13 milioni; per chi pensa di vaccinarsi ora però forse è un
po' tardi ... Nessuno vieta di vaccinarsi, ma i tempi di azione del
vaccino sono di circa 10 giorni e quindi potrebbe essere veramente
troppo tardi per evitare l'influenza e i suoi fastidiosi sintomi.
I virus di quest'anno sono
nuovi e quindi sarà più facile che riescano a colpire, anche se i loro
effetti saranno quelli tipici: febbre alta, dolori muscolari, stanchezza
e inappetenza. Ma non saranno solo i nuovi arrivati ad "agire": oltre
260 virus diversi sono pronti a colpire, tra i quali quelli "classici"
di stagione, come i rinovirus (naso chiuso e
raffreddore), e i virus gastrointestinali, sempre molto fastidiosi.
GLI ANTIBIOTICI

Raffreddore,
influenza, faringite, tonsillite ... e si parte con
l'antibiotico, spesso senza sentire prima il consiglio del
medico.
E pensare che nella
maggior parte delle patologie da raffreddamento, causate
da VIRUS, l'uso dell'antibiotico non è raccomandato.
Nelle malattie virali l'uso di antibiotici è scorretto: il
rischio che si corre è di restare in breve senza armi per
combattere le infezioni batteriche. Crescono infatti sempre
più le "farmaco resistenze", cioè la capacità dei batteri di
modificarsi e di resistere ai farmaci, rendendo sempre meno
efficaci i farmaci stessi.

Un recente
sondaggio ha confermato l'uso scorretto di questi farmaci
nella popolazione italiana: oltre il 40% degli intervistati
afferma di aver preso antibiotici senza una reale necessità.
Il 29% infatti li ha usati per curare l'influenza ed il 14%
per combattere il raffreddore!
Oltretutto il 40%
dichiara poi di interrompere la cura senza rispettare il
giusto periodo d'uso e questo è un altro errore grave, così
come cambiare da soli l'antibiotico senza consultare il
medico. |
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LE
MEDUSE: UN ARGOMENTO ... BRUCIANTE ...

Le meduse sono state tra i primi
animali comparsi negli Oceani della Terra, oltre 500.000.000 di anni fa.
Il corpo della medusa, formato
per il 98% di acqua, prende il nome di "ombrella". Nella parte
inferiore, concava, l'ombrella si prolunga in una struttura centrale, di
dimensioni più o meno allungate, che termina con la "bocca" della medusa
stessa. I tentacoli "urticanti" partono di norma dal margine
dell'ombrella.
Questi animali vivono in mare
aperto e si lasciano trasportare dalla corrente: fanno quindi parte del
"Plancton" e sono presenti in tutti i mari del mondo.
Si nutrono di piccoli
organismi planctonici, che catturano con i loro tentacoli urticanti.
Diventano a loro volta nutrimento delle tartarughe marine e di alcuni
pesci pelagici (ad esempio il Pesce Luna).
La dimensione di questi
animali possono variare da pochi millimetri ad oltre 2 metri di diametro
dell'ombrella e 40 metri di lunghezza dei tentacoli.
Le Meduse sono presenti in tutto il Mediterraneo con maggiore densità
nelle zone riportate nella cartina seguente:

Gli esemplari più diffusi nel
Mediterraneo:

COTHYLORIZA
TUBERCOLATA
Una delle specie più
comuni del Mediterraneo. Ha forma di disco con ombrella
convessa |

AURELIA AURITA
Nota come Medusa
Quadrifoglio per la forma dell'apparato digerente al centro
dell'ombrella |

RHIZOSTOMA PULMO
Il "Polmone di Mare"
arriva a 10 Kg di peso e 60 cm di diametro ma è praticamente
innocuo |

PELAGIA
Pelagia Noctiluca,
detta "Vespa di mare" o "Medusa luminosa". Provoca dolorose
irritazioni |
Cosa fare in caso di
"contatto ravvicinato" con una Medusa:
-
NON
STROFINARE la parte colpita e non usare acqua dolce,
per evitare di peggiorare la situazione rompendo
eventuali cellule urticanti ancora intatte.
-
USARE ACQUA
SALATA e MOLTO CALDA: questi tipi di veleno vengono
infatti inattivati dal calore.
-
Sostanze come
ACETO, LIMONE, AMMONIACA o una soluzione di
FORMALDEIDE possono essere utili per diminuire la
sintomatologia dolorosa.
-
Nei casi
più gravi, con larghe superfici interessate o con
presenza di dolore persistente e forte, cefalea,
convulsioni o disturbi della respirazione, è bene
rivolgersi SUBITO a strutture mediche idonee.
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ENERGY DRINK SOTTO ACCUSA
Roma, 6 Novembre 2007 (Fonte:
Adnkronos Salute): Ancora sotto accusa gli Energy Drink

"Aumentano la pressione
arteriosa oltre a fornire più energia", rivela uno studio presentato
oggi al congresso dell'American Heart Association. "Bastano due lattine al
giorno delle più comuni bibite energizzanti per avere rialzi pressori",
rivelano i ricercatori della Wayne State University. "E se nelle persone
sane questi sbalzi di pressione non costituiscono un pericolo per la
salute - aggiungono - in chi è affetto da patologie cardiache o consuma
troppi drink ogni giorno, la situazione può diventare seria". Tanto che
gli scienziati suggeriscono "agli ipertesi o a chi soffre di patologie
cardiache di evitare del tutto questo genere di bevande".
Molti energy drink contengono
infatti alti livelli di caffeina e taurina, un amminoacido presente anche
negli alimenti proteici come carne e pesce. Un mix capace di aumentare,
nell'arco dei sette giorni di osservazione, dal 7.9% al 9.6% la pressione
sistolica a quattro ore dal consumo della bibita. Mentre il valore della
pressione diastolica ha segnato oscillazioni variabili tra il 7% e il
7.8%.
Aumenta anche la frequenza del
battito cardiaco, passata da un +7% il primo giorno a un +11% del settimo.
(Rilevazioni riscontrate dai ricercatori in un campione di 15 volontari
sani e giovani - età media 26 anni).
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PICCOLA GUIDA AGLI
ALIMENTI

Cosa è il "Peso Ideale"?
è quel peso, composto in
prevalenza di massa muscolare, ma anche di grasso corporeo (in bassa
percentuale), che garantisce un buono stato di salute. Varia da persona a
persona e non può essere ricavato da semplici tabelle, ma deve essere
determinato dallo specialista con le idonee metodiche.
Un'attività fisica normale (2-3
volte a settimana), poi, non comporta quasi mai un fabbisogno energetico
aggiuntivo, né richiede l'uso di prodotti dietetici e/o di integratori
alimentari.
PROTEINE |
Quali e dove trovarle |
Fabbisogno giornaliero |
Dieta scorretta |
Proteine animali:
carne, pesce, uova, latte, formaggio. Forniscono
proteine complete, in quanto contengono gli otto amminoacidi
essenziali.
Proteine
vegetali: cereali,
legumi, frutta, ortaggi. Forniscono proteine incomplete, perché
mancano di alcuni amminoacidi essenziali. |
In un adulto
è intorno a 0.8 grammi ogni kg di peso corporeo; nello sportivo
questo valore aumenta a 1.5 grammi in ragione dell'ipertrofia
muscolare. In proporzione, corrisponde a circa il 15‑20% della
razione calorica totale, e dovrà provenire per il 50% da alimenti di
origine vegetale e per il 50% da alimenti di origine animale. |
Apporto eccessivo:
le proteine vengono trasformate in zuccheri e
grassi. Ciò non migliora la prestazione, ma può arrecare gravi danni
come coliti, stitichezza, affaticamento renale ...
Apporto
insufficiente:
diminuzione dell'efficienza fisica e psichica, della coordinazione
nervosa e rapidità di riflessi. |
GLUCIDI O CARBOIDRATI |
Quali e dove trovarli |
Fabbisogno giornaliero |
Dieta scorretta |
Monosaccaridi:
glucosio (contenuto nella frutta e nel miele) e
fruttosio (frutta e miele).
Disaccaridi:
saccarosio (canne e barbabietole da zucchero) e
lattosio (latte e latticini).
Polisaccaridi:
amido (cereali, tuberi, legumi) e glicogeno (carne e
pesce). |
In un adulto deve corrispondere a circa il
55‑60% della razione calorica. Il consumo di zuccheri semplici non
dovrebbe superare il 10‑12% delle calorie totali. Il resto è fornito
da alimenti contenenti carboidrati complessi che, oltre a fornire
energia a più lento rilascio, apportano altri nutrienti fondamentali
all'equilibrio della dieta. |
Apporto eccessivo: obesità,
costipazione, diarrea, coliche, carenza di calcio e vitamina B1,
tendenza a formare carie.
Apporto insufficiente: scarso
rendimento atletico dovuto alla formazione di corpi chetonici
provenienti dalla demolizione dei lipidi utilizzati a scopo
energetico in sostituzione dei carboidrati. |
LIPIDI O GRASSI |
Quali e dove trovarli |
Fabbisogno giornaliero |
Dieta scorretta |
Grassi saturi animali:
burro, lardo, carni grasse, formaggi,
salumi, uova.
Saturi vegetali:
olio di cocco, burro di cacao, olio di semi di
palma.
Polinsaturi animali:
oli e grassi di pesce.
Polinsaturi vegetali:
olio di semi di girasole, di mais, di
soia, margarine vegetali.
Monoinsaturi vegetali:
olio di oliva e arachidi. |
Deve essere di circa 1 g per
kg, corrispondente al 25‑30% della razione calorica totale. I 2/5
del fabbisogno lipidico deve essere ricoperto da grassi di origine
vegetale. I lipidi meglio digeribili e facilmente metabolizzabili
sono i polinsaturi. Vietati i grassi colti, precedenza assoluta
all'olio di oliva extravergine. |
Apporto eccessivo:
disturbi epatici e biliari, aumento dei
colesterolo cattivo, predisposizione all'obesità, minore resistenza
alla fatica.
Apporto insufficiente di
grassi soprattutto essenziali (polinsaturì):
affaticamento, disfunzioni nella crescita, problemi
di coagulazione e fragilità capillare. |
LA
DIGESTIONE
Tempo
di permanenza degli alimenti nello stomaco
Fino a 30': Glucosio,
fruttosio, miele, alcool, bibite isotoniche (in piccole quantità)
Da 30' a 60': Tè,
caffè, latte magro, brodo povero di grasso, acque minerali
zuccherate (tipo limonate, aranciate ecc.)
Da 60' a 120': Latte,
yogurt, cacao, formaggio magro, pane bianco, purè di patate, riso
bollito asciutto, pesce cotto, composta di frutta
Da 120' a 180': Carne
magra, legumi verdi lessati, carote e patate lessate, pasta, uova
strapazzate, omelette, banane, bistecca tartara
Da 180' a 240':
Pane nero, formaggio, frutta
cruda, legumi al vapore, insalata verde, filetto di pollo o vitello
ai ferri, patate arrosto, prosciutto
Da 240' a 300':
Arrosti, pesci e carne ai ferri, pisellini,
fagioli bianchi o verdi, torte al burro o alla crema
Circa 360': Lardo,
salmone affumicato, tonno sott'olio, insalata
di cetriolo, peperoni, patate fritte, arrosto di maiale, funghi
Fino a 480': Sardine
sott'olio, oca arrosto, zampetto di maiale,
crauti |
CONSIGLI
1 - Il pasto deve essere
sempre consumato almeno tre ore prima dell'esercizio fisico, per
evitare il richiamo dei sangue nell'apparato digerente invece che
nell'apparato muscolare.
2 - La colazione deve essere
sempre abbondante (20‑25% dell'apporto calorico dell'intera
giornata), ma si deve evitare di bere il caffelatte, perché i due
alimenti uniti, rallentano i tempi di digestione.
3 - Il pranzo deve essere
ricco di carboidrati e fibre vegetali, preceduto da un ricco piatto
di verdura mista.
4 - La cena deve essere
completa dal punto di vista nutrizionale.
5 - La frutta va mangiata
tutti i giorni, ma preferibilmente lontano dai pasti: è ricca di
zuccheri semplici ideali quando lo stomaco è vuoto.
6 -
è necessario bere
almeno un litro e mezzo al giorno di acqua minerale.
7 - Non bisogna esagerare con
sale, zucchero e condimenti vari come burro, panna e grassi animali. |
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LA SALUTE VIEN MANGIANDO

Ci sono alcuni
malesseri che potrebbero essere prevenuti facendo attenzione a ciò che si
mangia, eliminando ciò che potrebbe rivelarsi fatale a lungo andare e
preferendo, invece, cibi sani e ricchi di sostanze nutritive, ma poveri di
zuccheri e di grassi animali. In pratica, si potrebbe affermare che,
adattando un vecchio adagio, la salute vien mangiando.
CONTRO LA STIPSI?
La stitichezza è un problema che affligge molte persone, soprattutto
donne e ancora di più se in gravidanza. Se la stitichezza si verifica una
volta ogni tanto, può essere utile risolvere il problema momentaneo
aiutandosi con un lassativo, ma se si è un soggetto predisposto oppure se l'episodio di
stitichezza è piuttosto frequente, è meglio cercare di prevenire la stipsi
mangiando in maniera adeguata. Innanzitutto, è bene mangiare alimenti
ricchi di fibre,
sostanze che il nostro organismo non riesce ad assimilare. Queste, assorbendo acqua, si
trasformano in una sorta di materiale gelatinoso, il quale facilita
l'espulsione delle feci.
Strettamente legato a questo processo è l'assunzione di acqua; essa, infatti, è essenziale per la funzione
intestinale delle fibre, che altrimenti potrebbero avere l'effetto contrario. La media giornaliera
dovrebbe essere di circa due litri; oltre l'intestino,
ne beneficerà tutto l'organismo, poiché l'acqua stimolerà anche la diuresi
e, quindi, l'eliminazione degli elementi di scarto. Le fibre sono
solitamente ritrovabili in alimenti quali la frutta, le verdure ed i
cereali; tra la frutta, preferite soprattutto le prugne, che hanno azione
lassativa, tra gli ortaggi e le verdure il finocchio combatte la stipsi ed
il gonfiore addominale e tra i cereali, preferite sempre quelli integrali.
CONTRO LE PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI?
Le patologie che affliggono il sistema cardiovascolare sono molto frequenti e sono dette le patologie dei
ricchi perché vengono causate da un'alimentazione troppo piena di grassi.
L'aterosclerosi,
la formazione di placche all'interno delle vene, l'ipertensione, sono tutte malattie che minacciano ogni giorno
il nostro cuore e, quindi, la nostra vita. Mai come nel caso di queste
patologie, è lo stile di vita personale che fa la differenza. Lo sport,
l'astensione dal fumo, una giusta alimentazione possono aiutarci a vivere
meglio e più a lungo. È preferibile, per prevenire malattie
cardiovascolari, ridurre o eliminare gli alimenti ricchi di grassi saturi
e di cibi raffinati e di sale, che alza notevolmente la pressione
arteriosa. A questo va aggiunta la necessità, se si è in
sovrappeso o obesi, di ridurre notevolmente il proprio peso corporeo.
L'obesità,
infatti, è un fattore di rischio per l'insorgenza di tutte le malattie dell'apparato
cardiocircolatorio, e non solo. Quindi al bando, o quasi, il sale, gli
insaccati, i formaggi e tutto ciò che contiene sale; proibiti anche i
grassi animali (burro, strutto, lardo), i crostacei, le carni rosse e le
frattaglie, tutti cibi ricchi di colesterolo. Da preferire, invece, la carne bianca (coniglio,
tacchino, pollo), l'olio vegetale, meglio se extravergine di oliva, di
mais o di soia, gli ortaggi e la frutta, ricchi di fibre e poveri di sodio
e colesterolo, il pesce, soprattutto quello di mare, ricchissimo di omega
3, i cibi integrali, che rallentano l'assorbimento dei grassi.
PER PREVENIRE I TUMORI?
Lo spauracchio degli ultimi decenni è stato, ed è ancora, il cancro. Secondo alcuni studiosi, è
possibile prevenire l'insorgenza dei tumori a tavola. Fondamentalmente,
per prevenire i tumori bisogna cominciare dal peso; il sovrappeso e
l'obesità, infatti, sono fattori di rischio per i tumori del colon, del seno, della prostata e dell'utero.
Vale, quindi, tutto ciò che è stato detto anche per la prevenzione delle
malattie cardiovascolari: prediligere frutta, verdura e ortaggi, di pesce
e di grassi insaturi (oli extravergine di oliva, di masi e di soia) e
bandire grassi saturi, cibi salati e carni rosse.
MANGIARE SANO, VIVERE A LUNGO

Che la dieta mediterranea sia stata da sempre considerata
una dieta sana e nutriente non è una novità. Ora, anche i congressi
confermano questa convinzione.
Ma perché la dieta mediterranea è così sana rispetto a quelle attuate, per
esempio, nei paesi nordici o negli Stati Uniti?
La dieta mediterranea si basa fondamentalmente sull'uso intenso di
alimenti quali cereali, legumi, frutta e verdura. Limitato, invece, è
l'uso di prodotti caseari, quali latte, formaggio e yogurt ed il pesce è
preferito alla carne. Questo tipo di dieta nasce in considerazione dello
stretto rapporto, già scoperto intorno agli anni '50, tra ciò che si
mangia a tavola ed i disturbi cardiocircolatori. La ricerca ha fatto passi
avanti, scoprendo che non solo la circolazione subiva gli eccessi a
tavola, ma che anche altre patologie erano
condizionate da un'alimentazione eccessiva o poco sana; tra queste,
soprattutto tumori al colon, al seno, all'endometrio,
ecc., per non parlare dell'obesità,
la "malattia del benessere" che sta
diventando negli ultimi tempi una vera e propria epidemia, il diabete, le
dislipidemie, ecc.
Ma cosa consiglia, in sostanza, la dieta mediterranea? Questo tipo
di alimentazione predilige, come abbiamo detto, cibi ricchi di fibre, come le verdure e
gli ortaggi, la frutta, sia fresca che secca, ma con una grossa preferenza
per la prima, carboidrati (pane, pasta e
riso), legumi e prodotti caseari, meglio se "magri", per l'alimentazione
di tutti i giorni. Il tutto condito con olio d'oliva, meglio se
extravergine. Inoltre, consiglia di limitare l'uso delle uova al massimo 4
volte a settimana e del pesce e di preferire carne bianca (pollo,
coniglio, tacchino, ecc.), che può essere mangiata più volte a settimana,
rispetto a quella rossa, che va limitata a poche volte al mese, perché
meno digeribile. Per quanto riguarda le bibite, è bene evitare quelle
gassate, bere circa 6 bicchieri d'acqua e moderare l'assunzione di vino
rosso soltanto durante i pasti.

La piramide si suddivide fondamentalmente in tre zone
principali.
La "zona verde" indica quegli alimenti che possono essere mangiati tutti i
giorni; la "zona gialla", invece, comprende gli alimenti che vanno
limitati a poche volte alla settimana. La "zona rossa", infine, è per la
sola carne rossa, consigliata soltanto poche volte al mese.
CONSIGLI PER UNA SANA PASQUA
È inevitabile. Pasqua, come Natale, rappresenta una gioia per il
palato ed un tormento per la linea. Tanto più perché in previsione
dell'estate e di tutto ciò che essa comporta.
Ma allora, come fare a passare queste feste senza eccedere, ma anche senza
rinunciare alla buona tavola?
Ecco qualche consiglio utile per limitare i danni:
-
Innanzitutto,
mangiare tutto, ma con moderazione
-
Evitare i bis
-
Accettare porzioni
piccole di ogni piatto
-
Lasciare nel
piatto l'ultimo boccone, in modo che chi vi invita non insista a riempirlo
di nuovo
-
Prima di riempire
il bicchiere nuovamente, vuotarlo
-
Alla fine del
pasto, fare una bella passeggiata all'aria aperta, che aiuta a digerire
meglio
-
Poiché non è
l'eccesso di un giorno a rovinarci, ma gli eccessi giornalieri, cercare di
limitare le sostanze grasse dopo le feste, seguendo una dieta più sana nei
giorni successivi.
|
LE
NITROSAMMINE: UN PROBLEMA PER LA SALUTE
Marco Piumetti

In ambito
tossicologico è molto importante il problema delle nitrosammine poiché
molte di esse sono cancerogene e la loro presenza è dovuta sia ai
componenti naturali degli alimenti sia all'uso di nitriti aggiunti come
additivi a insaccati, prosciutti, wurstel, carni in scatola ed altri
prodotti a base di carne, pesci marinati, prodotti caseari, …
Dal punto di
vista chimico le nitrosammine sono dei composti organici caratterizzati
dalla presenza del gruppo N=O legato all'atomo di azoto di un'ammina
secondaria e si ottengono generalmente per reazione dei nitriti con le
ammine secondarie.

Struttura
generale di una nitrosammina
(R1 e
R1 sono i due gruppi sostituenti)
In condizioni
molto acide (per esempio all'interno dello stomaco), i nitriti vengono
trasformati in acido nitroso che, essendo un acido piuttosto debole è in
grado di dissociarsi in ione nitrosonio (N=O+) ed in gruppi
ossidrilici (OH-).
Lo ione
nitrosonio può quindi reagire con un'ammina per formare la nitrosammina.
Oltre alle
condizioni acide richieste per la loro formazione, le nitrosammine possono
formarsi in condizioni di alta temperatura, per esempio durante la cottura
degli alimenti tramite frittura o arrostitura, oppure nell'ambiente per
reazione delle ammine con gli ossidi dell'azoto.
Occorre, inoltre,
considerare il fatto che i nitrati che sono di per sé innocui tendono ad
essere trasformati in nitriti per effetto della flora batterica e quindi
diventare potenzialmente dannosi.
Formazione
delle nitrosammine [1]:
Step I: I
nitriti (R-NO2) in presenza di un ambiente acido formano
l'acido nitroso (HNO2) secondo la seguente reazione:

*Il Nitrito di sodio (NaNO2) è un
conservante
Step
II: Dall'acido nitroso si forma la specie reattiva, lo ione nitrosonio
N=O+ che è in grado di unirsi all'azoto dell'ammina secondaria
per formare la nitrosammina. La reazione complessiva è la seguente:

Molte possono le
fonti delle nitrosammine, quali ad esempio la
birra, i vegetali, il
pesce, la
carne, i
salumi e i
formaggi. Nella carne
conservata possono esserci tracce di nitrosammine poiché la carne contiene
le ammine (che derivano dalla presenza di proteine) e, per conservarla,
talvolta viene aggiunto il nitrito di sodio, con il cloruro di sodio.
Questo metodo di conservazione di molti alimenti è importante per evitare
la formazione della tossina Botulina, prodotta da un batterio della carne,
ed impedire la formazione della Salmonella ma ha l'inconveniente di essere
un potenziale vettore per la produzione delle nitrosammine; pertanto, per
ridurre tale effetto, nell'industria alimentare vengono spesso aggiunti
degli inibitori (antiossidanti) quali le vitamine C ed E.
è
infatti noto che l'acido ascorbico, così come la vitamina E, inibisce la
formazione delle nitrosammine ed attualmente viene utilizzato un suo
isomero, meno costoso, come agente inibente. Oggigiorno, grazie ai
miglioramenti dei metodi di conservazione dell'industria alimentare, il
livello di nitrosammine in molti prodotti conservati risulta essere
inferiore rispetto al passato, in cui tali agenti inibenti non venivano
impiegati [2]. Tuttavia, le nitrosammine possono essere presenti anche in
fonti non alimentari, quali il
fumo di sigaretta, nei
materiali plastici, nei
pesticidi, in alcuni cosmetici, nelle industrie metallurgiche …
La classe delle
nitrosammine è ben nota da oltre cento anni ma il loro interesse ha
cominciato ad aumentare dal 1956 quando i due scienziati inglesi John
Barnes e Peter Magee osservarono che la dimetilnitrosammina se fatta
inalare o ingerire ai ratti, provocava rapidamente dei tumori al fegato.
Da tale scoperta si iniziarono a studiare circa 300 composti di
nitrosammine e, per il 90 % di essi, si trovarono delle proprietà
cancerogene sugli animali. La maggior parte delle nitrosammine, infatti,
sono degli agenti mutageni, provocano l'alchilazione
del
DNA, e molti di essi
agiscono su specifici organi. Esiste, inoltre, una correlazione tra la
loro assunzione ed il cancro allo stomaco [3][4]; secondo l'AIRC (Ass. It.
Ricerca sul Cancro) il consumo di insaccati con conservanti è una della
cause accertate di cancro allo stomaco [5]. Un altro studio della Columbia
University di New York rivela che
il consumo di insaccati conservati con
nitriti può ridurre le funzioni respiratorie del 3% e ciò
pare che sia dovuto ai nitriti e nitrati che aggrediscono specifiche
proteine adibite al mantenimento dell'elasticità polmonare [5]. Anche nel
tabacco sono presenti tracce di nitrosammine, infatti, è stato osservato
che i fumatori di tabacco sono esposti a molte nitrosammine tra cui le
N-nitrosonornicotine, presenti in diversi tipi di tabacco.

Tali composti
sono risultati cancerogeni per ratti, topi e criceti ed in particolare la
somministrazione orale ha indotto carcinomi del tratto digestivo superiore
e delle cavità nasali in alcuni di essi. Nonostante ciò, per quanto
riguarda l'effetto delle nitrosammine presenti nel fumo di tabacco non
esistono ancora per l'uomo dei dati epidemiologici certi [2].
BIBLIOGRAFIA
[1] H. Hart:
Chimica Organica, Terza Edizione Zanichelli, 1991
[2] Nitrosamines and Cancer, Richard A. Scanlan, Ph.D.
Dean of Research Emeritus and Professor of Food Science - Linus Pauling
Institute -
http://lpi.oregonstate.edu/f-w00/nitrosamine.html
[3] Documentazione Regionale Salute - Centro di
Documentazione per la Promozione della Salute - Via Sabaudia, 164 - 10095
Grugliasco (TO)
www.dors.it/matline/stasch.php?astampa%5B0%5D=508&PHPSESSID=c832f4809a89012ac433434e251202be
[4]
Nitrosamine and related food intake and gastric and
oesophageal cancer risk: a systematic review of the epidemiological
evidence. World J Gastroenterol. 2006 Jul 21;12(27):4296-303
[5]
http://www.cibo360.it/alimentazione/chimica/additivi/nitriti.htm
|
IL "FUOCO DI SANT'ANTONIO

Herpes Zoster
L'Herpes Zoster è una malattia
virale conosciuta in Italia col termine di "fuoco di Sant'Antonio". Il
nome deriva dal greco, Herpes (Herpein = strisciare, comparire
saltuariamente) e Zoster (Zostrix = cintura). Conosciuta fin
dall'antichità, è rimasta un'infezione misteriosa per molti secoli. Solo,
infatti, dal XIX secolo si è riusciti ad inquadrarla in maniera più netta.
CAUSE
La varicella rappresenta la
malattia primaria, che si sviluppa prevalentemente nei bambini: dopo un
periodo d'incubazione di 14 giorni compare la febbre e le classiche
eruzioni cutanee, caratterizzate da papule che si trasformano poi in
vescicole piene di liquido.

Varicella
Dopo la guarigione completa con la
scomparsa delle vescicole e la formazione di anticorpi circolanti, il
virus non è completamente distrutto, bensì va ad annidarsi in alcune
strutture nervose ‑ i gangli sensitivi ‑ dei nervi spinali e cranici che
il virus aveva raggiunto durante la disseminazione varicelliforme.
Li rimane dormiente per anni o per
tutta la vita, fino a quando non intervenga un'attivazione dei virus, per
abbassamento delle nostre difese immunitarie.
Questo risveglio è legato a grossi
stress emozionali, traumi, malattie infettive, eccessiva esposizione al
sole con ustioni, traumi, terapia radiante.
Una volta risvegliatosi il virus
ripercorre a ritroso i nervi per raggiungere la cute che aveva lasciato
anni prima come varicella. Ecco spiegato il nome di "fuoco di Sant'Antonio":
questo passaggio, infatti, crea un dolore insopportabile, insomma un vero
e proprio fuoco, talvolta difficile da controllare se non utilizzando
farmaci importanti tipo morfina o similari.
CURE
La diagnosi si presenta semplice e
mirata, in quanto oltre al dolore compaiono sulla cute le classiche
eruzioni vescicolari a grappolo. In epoca pre‑antivirale è stata invocata
ogni terapia per la cura dell'herpes zoster: ne ricordiamo alcune molto
empiriche come l'olio di lino per impedire l'adesione della pelle ai
vestiti e il nitrato d'argento per le cauterizzazioni. Il barone Alibert
nel 1815 consigliava ancora le sanguisughe o la flebotomia accanto ad
acqua di malva, pomata di giusquiamo, di belladonna e oppio.
Oggi fortunatamente la terapia è
molto più semplice e mirata: si tratta dell'utilizzo dei farmaci
antivirali antizoster: delle vere e proprie "bombe" intelligenti che
colpiscono in maniera precisa e specifica soltanto il virus senza
danneggiare le nostre cellule. Tra questi ricordiamo il capostipite "aciclovir",
fino ad arrivare al "valaciclovir", "famciclovir" e l'ultimo nato: "brivudin".
È importante cominciare subito la terapia anti‑zoster per impedire le
gravi complicanze della malattia.
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CICLISTA CUORE GENEROSO
di Roberto Corsetti
La pratica di sport aerobici, e in particolare del
ciclismo, può favorire sensibilmente la prevenzione all'infarto. Vediamo
come.

In questi ultimi decenni, il progresso dei mezzi di trasporto ha permesso
all'uomo di superare con facilità mari e montagne e di spostarsi con
incredibile velocità da una parte all'altra del mondo. Lo sviluppo di
macchine sempre più perfette e capaci di funzionare autonomamente, grazie
all'impiego dei computer, ha inoltre fatto sì che lavori assai faticosi
potessero essere effettuati con il minimo sforzo. L'avvento
dell'automazione, del controllo a distanza e della robotica ha portato a
una significativa riduzione dell'attività fisica, ma ha anche
rappresentato una delle maggiori cause della più grande epidemia che
l'uomo abbia mai conosciuto: la malattia coronaria, ossia il progressivo
deterioramento delle arterie coronarie, che sono le arterie che portano
sangue e, con esso, ossigeno al cuore. Il lume delle arterie coronarie si
restringe per una progressiva deposizione di grasso (colesterolo) sulle
pareti, condizione conosciuta come "aterosclerosi".
Il risultato
Il risultato è una riduzione del flusso sanguigno e, quindi, dell'ossigeno
che raggiunge il cuore (ischemia). Il cuore, ricevendo meno ossigeno,
dapprima "si lamenta", e il segnale di questo lamento è il dolore
(angina), ma successivamente, perdurando o aumentando il deficit di
ossigeno, la situazione può precipitare fino alla comparsa di un infarto
(che è rappresentato dalla morte di tutte le cellule che occupano quella
regione del muscolo cardiaco che riceveva meno sangue) o, addirittura,
della morte improvvisa. Coloro che sopravvivono all'infarto devono
necessariamente confrontarsi con la triste realtà che la morte può
sopraggiungere con un altro infarto e che, in tutti i modi, la qualità
della vita è irrimediabilmente compromessa.
Quali cause?
La malattia delle coronarie (cardiopatia ischemica), che - come detto - è
la causa dell'infarto e/o della morte improvvisa, inizia a svilupparsi
inesorabilmente nei primi anni di vita. Essa, molto semplicemente, è
caratterizzata dalla formazione, sul pavimento che riveste le coronarie,
di una o più placche ripiene di grassi (in prevalenza colesterolo), che
progressivamente crescono fino a restringere e chiudere del tutto il lume
del vaso. Quando il sangue non riesce più a passare, una regione più o
meno grande del cuore non riceve più sangue, e quindi l'ossigeno
indispensabile per la vita delle cellule cardiache, e va incontro alla
morte (infarto). Tale malattia mostra uno sviluppo precoce e rapido, e da
ciò ne deriva che è necessario concentrare gli sforzi sulla prevenzione in
età giovanile. A tal fine, è utile conoscere i principali fattori di
rischio (vedi il riquadro "I fattori di rischio"), ossia quelle malattie o
abitudini di vita o situazioni contingenti che favoriscono lo sviluppo
delle lesioni sulle coronarie. Una familiarità positiva con malattie delle
coronarie (padre o madre o nonni con cardiopatia ischemica) rende
ovviamente il soggetto più suscettibile a sviluppare egli stesso la
malattia, ma anche con l'età avanzata aumenta notevolmente il rischio di
sviluppare la malattia. Per quanto riguarda il sesso, il maschio è più a
rischio della femmina in età fertile, poiché la donna appare notevolmente
protetta dall'elevato tasso di ormoni estrogeni. La situazione, però,
cambia dopo la menopausa: da quel momento in poi il sesso femminile ha
quasi le stesse probabilità di sviluppare la malattia rispetto al maschio.
Probabilmente, comunque, i più minacciosi fattori di rischio sono
costituiti dagli elevati livelli di colesterolo nel sangue o "ipercolesterolemia",
dai valori elevati di pressione arteriosa o "ipertensione", dal diabete,
dal fumo di sigarette e dall'obesità. Notevole importanza nel determinare
la lesione delle coronarie, poi, è rivestita da alcuni aspetti di tipo
caratteriale e psicologico. In particolare, un temperamento irascibile e
la suscettibilità allo stress, tipica di quegli individui con una
personalità che si lascia condizionare negativamente dagli eventi e
appaiono sempre "a tutta", concitati e nervosi, predispongono allo
sviluppo della malattia.
Ma anche l'inattività fisica
Ma anche l'inattività fisica e la vita sedentaria risultano in grado di
promuovere o potenziare la malattia, anche se non si ritiene che esista un
rapporto diretto causa-effetto: di sicuro essa risulta strettamente
associato all'eccesso di peso che, quasi sempre, scaturisce dal sedentarismo. Tra tutti questi fattori alcuni sono modificabili, ossia
possono essere influenzati positivamente da una corretta prevenzione e da
una condotta di vita sana o, anche, dalle terapie mediche, mentre altri
devono essere considerati non modificabili (familiarità, età e sesso).
L'utilità dell'esercizio fisico
L'attività motoria serve a mantenere sveglia la "memoria" di tutte le
cellule, perché esse non dimentichino mai la funzione specifica per la
quale sono state "progettate": il movimento. Come detto, il diffondersi
dei mezzi di locomozione, della televisione e del computer, ha ridotto
progressivamente la necessità di doversi muovere "con le proprie gambe",
con gravi conseguenze non solo sulla forza muscolare, che diminuisce, e
sulla capacità di resistere agli sforzi, anche essa ridotta, ma anche
sull'aumento di peso, sull'aumento del colesterolo nel sangue e dei valori
minimi e massimi di pressione arteriosa. Tutto ciò si traduce in una
minore aspettativa di vita, se è vero, come è stato ampiamente dimostrato,
che "l'attività fisica aggiunge anni alla vita e vita agli anni". Tra i
meccanismi attraverso i quali l'esercizio fisico allunga la vita e ne
migliora la qualità, evidenziamo la riduzione della pressione arteriosa e
del colesterolo nel sangue e il miglioramento della funzione e della
resistenza dell'"endotelio", ossia il pavimento delle arterie in genere e,
quindi, anche delle coronarie, che così si difende meglio dagli attacchi
dei vari fattori di rischio e non sviluppa, o perlomeno sviluppa assai più
lentamente, le lesioni tipiche, ossia le placche. Peraltro, gli individui
che praticano regolarmente attività fisica riescono più facilmente a
mantenere il peso forma e sono meno propensi a fumare, limitando così
l'influenza negativa di altri due pericolosissimi fattori di rischio. Si
deve però fare una netta distinzione tra sport di potenza (lotta,
sollevamento pesi, body building) e sport di durata aerobici (ciclismo,
corsa a piedi, sci di fondo), poiché solo questi ultimi si sono dimostrati
in grado di procurare dei vantaggi sulla salute e, in particolare, sulla
prevenzione della cardiopatia ischemica, laddove gli sport di potenza,
viceversa, possono avere effetti addirittura controproducenti. Sono ormai
numerosi gli studi che dimostrano una riduzione dell'incidenza della
cardiopatia ischemica negli individui che praticano un'attività fisica,
lavorativa o anche solo ricreativa, rispetto a coloro che vivono
nell'ozio.
Riduzione del colesterolo
I molteplici studi effettuati sull'argomento hanno dimostrato che la
pratica costante di una disciplina sportiva come il ciclismo modifica
significativamente l'assetto dei grassi (lipidi) presenti nel sangue, e
ciò accade indifferentemente sia nei soggetti che mostrano normali livelli
di colesterolo sia in coloro che presentano, già di base, una ipercolesterolemia. Il principale effetto dell'esercizio fisico aerobico
appare, senza dubbio, la diminuzione del tasso dei trigliceridi e del
colesterolo "cattivo", ossia quello che rovina le arterie ed è conosciuto
come colesterolo LDL. Ancora più significativo è l'aumento, indotto
dall'attività fisica, del colesterolo "buono", anche detto HDL, che è poi
quella parte di colesterolo che serve "ad allontanare dal sangue il
colesterolo cattivo" e che rappresenta uno tra i più efficaci fattori
protettivi nei confronti della cardiopatia ischemica. Un meccanismo assai
importante nel determinare l'effetto benefico dell'attività fisica di tipo
aerobico sulla quantità di grassi presenti nel sangue sembra essere la
perdita di peso. Infatti, pare che l'aumentato rischio di ammalarsi di
cardiopatia ischemica, tipico degli obesi, dipenda in gran parte da uno
sfavorevole assetto lipidico e, in particolare, dalla diminuzione del
colesterolo HDL o buono. Più di uno studio ha dimostrato che individui
praticanti con regolarità il ciclismo su strada, calando di peso,
presentano un aumento dei livelli del colesterolo buono. Alcuni
ricercatori anglosassoni hanno diviso un gruppo di soggetti tra i trenta e
i sessant'anni, in sovrappeso e con elevati livelli di colesterolo, in tre
sottogruppi. Al primo hanno fatto effettuare un allenamento costante e
regolare, per circa tre mesi, con sedute di ciclismo su strada o in
laboratorio (cicloergometro), al secondo hanno consigliato una dieta
alimentare da seguire ugualmente per tre mesi, al terzo hanno indicato di
non cambiare affatto le abitudini di vita e alimentari. I ricercatori
hanno evidenziato una maggiore perdita di peso in coloro che avevano
seguito una dieta rispetto a quelli sottoposti a esercizio aerobico, una
riduzione del colesterolo cattivo simile nei due gruppi e un aumento del
colesterolo buono HDL assai più marcato in coloro che avevano effettuato
attività ciclistica rispetto a coloro che erano stati sottoposti alla
dieta. Quindi, appare evidente come un esercizio fisico aerobico, quale è
il ciclismo, possa influenzare positivamente l'assetto lipidico e svolgere
una significativa opera preventiva nell'impedire l'insorgenza o la
progressione della malattia delle coronarie.
Riduzione della pressione
La pratica continuativa e metodica di una disciplina sportiva aerobica
riduce i due valori della pressione arteriosa a riposo, sia il valore
massimo (pressione sistolica) che quello minimo (pressione diastolica).
Inoltre, gli sportivi impegnati in discipline aerobiche mostrano un
rischio minore di sviluppare ipertensione arteriosa e sembrano meno
vulnerabili all'insorgenza dell'ipertensione causata da regimi dietetici
ipercalorici e/o particolarmente ricchi di sale e dallo stress. Inoltre,
gli individui sedentari risultano più predisposti a sviluppare
ipertensione arteriosa nel corso degli anni rispetto agli sportivi e a
coloro che, in genere, presentano buone o elevate capacità prestative. La
pratica del ciclismo è inoltre in grado di ridurre i valori di pressione
arteriosa in quei soggetti che hanno già iniziato a mostrare valori
elevati. In quest'ultimo caso risulta però difficile capire se la
riduzione della pressione, ottenuta con la pratica di una disciplina come
il ciclismo, sia o meno dipendente dalla riduzione di peso. La maggior
parte degli autori è propensa a credere che non ci sia un nesso con la
perdita di peso, ma ancora si discute e non vi è nulla di sicuro. È però
possibile affermare con certezza che la pratica di uno sport come il
ciclismo previene l'insorgenza dell'ipertensione e presenta effetti
positivi indiscutibili nel trattamento dell'ipertensione, tanto che lo si
raccomanda, insieme ad altre misure (dieta, perdita di peso, regime
alimentare iposodico), ai soggetti che presentano forme iniziali lievi di
ipertensione.
Effetti sul fattore psicologico
La pratica costante del ciclismo produce una sensazione soggettiva di
benessere e piacere, che però risulta difficilmente misurabile. È
dimostrato come l'attività fisica comporti un aumento delle endorfine,
ormoni che donano una sensazione di benessere e un atteggiamento positivo,
nei confronti della vita, caratterizzato da una grande fiducia in se
stessi e un notevole ottimismo. In tal senso è consigliabile raccomandare
la pratica del ciclismo a tutti coloro che non riescono a liberarsi
dell'ansia, dello stress e del pessimismo cronico.
Medicina a basso costo
In conclusione, una costante e regolare pratica del ciclismo, esercizio
fisico aerobico per eccellenza, esercita un indiscutibile effetto benefico
preventivo sull'insorgenza della malattia delle arterie coronarie. Il
meccanismo di tale effetto è la favorevole modificazione dei più
importanti fattori di rischio cardiovascolare e, in modo particolare,
delle alterazioni dei grassi nel sangue, dell'ipertensione arteriosa,
dell'obesità, dello stress e del diabete. La pratica del ciclismo, quindi,
potrebbe essere considerata una "medicina a basso costo" nella prevenzione
e nella cura della cardiopatia ischemica, ma, come per tutte le altre
medicine, si devono conoscere le "modalità di somministrazione, i rischi e
le controindicazioni" ...
Attività fisica: quale e quanta
L'attività fisica consigliata nella prevenzione delle malattie
cardiovascolari è senz'altro quella di tipo aerobico, e quindi lo sci di
fondo, la corsa a piedi e, naturalmente, il ciclismo. È necessario
osservare una buona costanza e una buona regolarità e, in genere, sono
consigliati non meno di due - tre allenamenti alla settimana. Molto
importante è la loro durata e la loro intensità. Le esercitazioni sulla
bici non dovrebbero durare meno di 40 - 50 minuti, ma è consigliabile
cercare di restare in bici per almeno 90 o 120 minuti. Si deve iniziare
con un'intensità tale che la frequenza cardiaca rimanga intorno al 60 per
cento della massima teorica per l'età (la massima frequenza teorica viene
calcolata sottraendo l'età a 220: ad esempio, per un atleta di cinquant'anni,
essa sarà 220-50 = 170). Dopo alcune settimane l'intensità del lavoro potrà
essere incrementata fino a raggiungere progressivamente il 70-80 per
cento. Ovviamente, la seduta di allenamento dovrà prevedere una parte
iniziale dedicata al riscaldamento (15-20 minuti) e una parte finale per
il defaticamento (almeno 10 minuti). Inoltre, le uscite in bicicletta
dovrebbero essere effettuate nelle condizioni ambientali migliori: mai al
freddo eccessivo o sotto il solleone e, per le persone in età avanzata,
mai all'alba.
I rischi e le controindicazioni
Nel 490 a.C. Filippide morì al termine di una corsa di 200 km, da Atene a
Sparta, fatta per chiedere aiuti, prima della vittoria degli Ateniesi
contro i Persiani a Maratona. Il quesito che ci si pone è se uno sforzo
sproporzionato al grado di allenamento e di preparazione atletica del
soggetto possa causare la rottura di un cuore perfettamente sano. La
risposta è sicuramente no. Un cuore sano, lo si è dimostrato ampiamente, è
praticamente invulnerabile. Così, anche la pratica per tanti anni di una
disciplina sportiva a impegno cardiovascolare elevato come il ciclismo non
danneggia in alcun modo il cuore. Anzi, semmai, il contrario, e studi
condotti su ex professionisti del pedale hanno confermato tale teoria.
Purtroppo, però, in qualche caso, raramente per fortuna, un soggetto
potrebbe essere portatore di una patologia cardiaca silente, congenita o
acquisita in seguito, per la quale uno sforzo fisico potrebbe esporlo al
rischio di eventi infausti. Tutto ciò per dire che, qualora si decidesse
di iniziare a praticare il ciclismo per prevenire la cardiopatia ischemica
o per evitarne la progressione, o anche solo per diletto, è assolutamente
necessario effettuare, prima, una visita approfondita conoscitiva del
proprio stato di salute. Un buon cardiologo dello sport o un medico dello
sport di estrazione cardiologica potranno prescrivere ed effettuare gli
accertamenti necessari per definire lo stato di salute e dare alcune utili
indicazioni sul programma di allenamento più consono alle caratteristiche
individuali di ciascuno. Chiaramente, in alcuni casi, ripetiamo per
fortuna rari, al termine della visita e degli accertamenti, potrebbe
essere individuata una patologia che controindica nella maniera più
assoluta gli sforzi fisici. Alcune cardiopatie congenite, i difetti gravi
delle valvole cardiache, un infarto miocardico recente o particolarmente
esteso, il dolore cardiaco (angina) che compare per sforzi minimi,
l'ipertensione severa non controllata dalla terapia medica e alcune forme
di aritmie particolarmente minacciose, controindicano nel modo più
assoluto l'attività fisica.
Articolo pubblicato su "la Bicicletta - Novembre 2002 (COPYRIGHT©
La Bicicletta - Italy)
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SPORT ... L'AMICO DEL CUORE
Lo sport è
amico del cuore. La sedentarietà, infatti, è uno dei principali fattori di
rischio per le malattie cardiovascolari, mentre, al contrario, svolgere
una regolare attività sportiva permette di allenare e mantenere giovani
cuore e vasi sanguigni.
I risultati dipendono dal tipo di sport e dal tipo di sforzo fisico che
comporta: le attività anaerobiche (senza produzione di ossigeno) stressano
l'apparato cardiovascolare, ma contribuiscono a bruciare grassi e a
diminuire la quantità di colesterolo LDL nel sangue; gli sport aerobici
(con produzione di ossigeno) come la corsa di fondo o il ciclismo allenano
il cuore, migliorandone l'efficienza e la resistenza.

Cuore e sport
Un'attività
fisica sana, regolare e senza sforzi aumenta il colesterolo buono (HDL),
diminuisce quello cattivo (LDL), abbassa la pressione arteriosa e i
livelli di glicemia ma, soprattutto, riduce il rischio di aritmie
minacciose e di morti improvvise.
Perché fare
attività fisica?
Fare sport ci
mantiene giovani, più di qualsiasi prodotto di bellezza o cura miracolosa.
Un'attività fisica condotta con moderazione ma regolarità, fin dall'età
dello sviluppo, permette all'organismo di mantenersi sano ed efficiente
più a lungo, ritardando la degenerazione dei muscoli, delle articolazioni
e delle strutture organiche.
è scientificamente
dimostrato che lo sport apporta benefici per tutto il corpo:
-
muscoli ed
articolazioni si rafforzano, con miglioramenti anche nella postura e
nella resistenza alla fatica quotidiana. Muscoli addominali e dorsali in
forma, poi, allontanano il rischio di patologie della colonna vertebrale
(ad esempio: ernie e lombosciatalgie)
-
il metabolismo
si ottimizza: migliora il rapporto tra massa grassa e massa magra del
corpo, viene regolato lo stimolo della fame e si riequilibrano i
parametri ematochimici
-
aumenta la
capacità e l'elasticità dell'apparato respiratorio, anche a riposo, per
la maggiore richiesta di ossigenazione a cui sono chiamati gli alveoli
polmonari durante l'esercizio fisico
-
migliora la
capacità contrattile del
cuore
e la sua irrorazione coronarica: a riposo, uno sportivo ha un battito
cardiaco di frequenza inferiore rispetto ad una persona sedentaria, ed è
meno soggetto a sbalzi di pressione; inoltre, il suo sistema
circolatorio è più elastico ed ha un migliore ritorno venoso, dovuto
alla maggiore efficienza della muscolatura.
L'esercizio
fisico, inoltre, scongiura il rischio di condizioni tipiche della vita
sedentaria: l'obesità, il diabete, l'ipertensione, e tutte le patologie
legate al sistema cardiocircolatorio, tra cui l'infarto, una delle cause
di morte più diffuse nel mondo occidentale.
Un po' di sport, giorno dopo giorno
Certo, non ci si può inventare atleti da un giorno all'altro, né tutti
hanno a disposizione il tempo e le energie necessarie per potersi dedicare
con molto impegno ad un'attività sportiva; d'altronde, per chi non ha mai
praticato sport, è necessario "partire per gradi", senza affaticare il
cuore, i muscoli e la colonna vertebrale con esercizi eccessivi o
prolungati, cosa assolutamente controproducente.
La vita moderna ci ha abituato ad una serie di comodità (l'automobile,
l'ascensore, la metropolitana ...) che ci hanno sottratto l'occasione di
fare anche solo un po' di movimento fisico: qualche rampa di scale o un
breve tratto di strada fatto a piedi apportano benefici non solo al nostro
fisico, magari dopo una lunga giornata alla scrivania, ma anche alla
psiche.
Praticare sport, infatti, allevia la tensione accumulata in tutto il
giorno, porta benessere a tutto l'organismo e, dopo lo sforzo, induce una
piacevole sensazione di rilassatezza, che ha benefici influssi sull'umore,
sulla vita sociale e sul riposo notturno.
Attività
fisica per prevenire il rischio di infarto
Un'attività
fisica sana, regolare e senza sforzi aumenta il colesterolo buono (HDL),
diminuisce quello cattivo (LDL), abbassa la pressione arteriosa e i
livelli di glicemia ma, soprattutto, riduce il rischio di aritmie
minacciose e di morti improvvise. Lo sport praticato senza continuità e
interrotto bruscamente può essere dannoso, meglio farlo con gradualità e
costanza. Secondo recenti studi statunitensi, l'esercizio fisico
ridurrebbe del 25% i rischi di mortalità da infarto.
Infatti, la probabilità di un primo attacco cardiaco risulta raddoppiato
nelle persone sedentarie di sesso maschile rispetto a coloro che praticano
sport. Gli esercizi anti-infarto sono: nuoto, tennis, footing
possibilmente all'aperto e, comunque, mai meno di quattro volte a
settimana per 40 minuti a seduta. Sì allo sport, quindi, anche se gli
esperti sconsigliano di praticarlo quando fa caldo o troppo freddo o dopo
aver mangiato abbondantemente.
Nel caso in cui il paziente sia stato sottoposto a intervento chirurgico
c'è la ginnastica "calistenica", che consiste in una serie di esercizi
dolci da far eseguire dopo la seconda settimana dall'infarto e dopo la
terza dall'operazione, in modo da evitare un secondo infarto ed un
peggioramento della malattia ischemica di fondo.
è notizia di questi giorni
che in dieci anni la sindrome coronaria acuta responsabile degli attacchi
è scesa dal 10 al 5%. Ogni anno in Italia sono vittime di malattie
cardiovascolari 242mila persone. Di queste, il 30 per cento, cioè 73mila,
sono dovute all'infarto del miocardio: 187 decessi ogni 100mila abitanti.
Nel Bel Paese i pazienti affetti da cardiopatia ischemica, l'anticamera
della sindrome coronaria acuta, sono un milione e 500mila. Un dato finale:
gli uomini nell'età compresa tra i 50 e i 70 anni sono a maggiore rischio
infarto rispetto alle donne, soprattutto nei paesi nordici dove è più alto
il consumo di grassi animali.

Combattere la sedentarietà dopo i 40
anni riduce il rischio cardiaco, anche se fino a quel momento si è
stati più pigri: uno studio tedesco
Non è mai troppo tardi per iniziare a
fare attività fisica per proteggere il proprio cuore. Uno studio
condotto presso le Università tedesche di Ulm e di Heidelberg ha
intervistato 312 soggetti con problemi cardiovascolari e 479 sani
tra i 40 e i 68 anni chiedendo a tutti di descrivere, attraverso un
questionario, la quantità e il tipo di attività fisica svolta fino a
quel momento.
Secondo quanto riferito dalla rivista Heart, sembra che per coloro
che avevano fatto regolare attività fisica si registrasse una
riduzione fino al 60% del rischio cardiovascolare rispetto agli
altri. Ma ciò che è emerso ancora più chiaramente da questa ricerca
è che, anche se tra i venti e i trent'anni non si è fatta alcuna
attività sportiva e si è ceduto un po' alla pigrizia, iniziare a
muoversi e ad essere più attivi dopo i 40 anni sembra essere
altrettanto efficace. I volontari che hanno iniziato a fare attività
sportiva intorno ai 40 anni, infatti, vedevano ridurre del 55% le
chance di avere un problema cardiaco rispetto ai loro coetanei che
continuavano ad essere sedentari.
(MFL Comunicazione - 28/08/2006) |
Lo sport ed il
rischio cardiaco
Tra i fattori di
rischio per le malattie cardiache oltre al fumo, l'ipercolesterolemia e
l'ipertensione arteriosa è stata recentemente inserita la sedentarietà o
mancata attività fisica. Questo perché si ritiene che l'attività fisica
svolta da soggetti sedentari per una durata di 30 minuti quotidiani,
riduce i rischi di cancro dell'intestino e del colon, di osteoporosi,
ipertensione arteriosa, depressione, ansietà e stress.
È inoltre doveroso precisare che, quando si parla di attività fisica, non
ci si riferisce esclusivamente agli esercizi aerobici come il jogging il
ciclismo, il nuoto, ma anche ad altre attività che si effettuano
quotidianamente quali salire le scale, camminare per la città o praticare
hobby come il giardinaggio. È da considerarsi ugualmente importante
l'allenamento di sport di resistenza e gli esercizi con i pesi perché
aumentando la forza contribuiscono a bruciare il grasso corporeo ed
aiutano a diminuire la quantità di colesterolo nel sangue.
I benefici che l'esercizio fisico procura si possono così sintetizzare:
-
diminuzione
della pressione arteriosa media
-
diminuzione
del colesterolo totale ed LDL (colesterolo cattivo)
-
diminuzione
dei rischi di lesioni ortopediche
-
diminuzione
del grasso corporeo
-
miglioramento dell'efficienza di cuore e polmoni
-
controllo e
prevenzione dello sviluppo di diabete
-
aumento del
colesterolo buono (HDL)
-
aumento dei
livelli energetici
-
aumento
della tolleranza allo stress ed alla depressione
|
Le conseguenze
che l'attività fisica apporta all'apparato cardiovascolare sono
difficilmente schematizzabili perché ciascuno sport procura in impegno
cardiaco diverso. Questo infatti a seconda dei diversi sport può essere
costante nel tempo, come ad esempio nella maratona in cui la durata della
gara è relativamente lunga, o intermittente come per le attività
aerobico-anaerobiche. Altre attività invece, come alpinismo, sport
subacquei, sport motoristici etc. hanno un rischio intrinseco
riconducibile all'ambiente sfavorevole in cui vengono svolti.
Si può quindi concludere che il rischio cardiovascolare aumenta per i
soggetti che praticano sport di contatto nei quali possono verificarsi
traumi contusivi toracici o violenti stimolazioni cardiache come i traumi
cranici, in grado di facilitare fenomeni aritmici di tipo ipocinetico. Si
è verificata dunque l'esigenza di classificare i diversi sport
considerando gli effetti acuti e cronici che l'attività fisica determina
sull'apparato cardiovascolare, per realizzare uno strumento di guida
diretto agli specialisti di medicina dello sport; questo strumento è stato
fornito dalla Bethesda Conference e dal
COCIS. Come criteri
guida per la classificazione sono stati presi in considerazione il carico
di pompa, la pressione di esercizio, la frequenza cardiaca e le influenze
emozionali, non solo nel momento della gara ma anche nell'allenamento.

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LEGAMENTO CROCIATO
NUOVO PER IL GINOCCHIO
di Fabio
Lodispoto
Specialista in
Medicina dello Sport, Roma

Due nuove
opportunità per ricostruire il legamento crociato anteriore del ginocchio:
il legamento artificiale e il trapianto da donatore. Il primo è ottenuto
in laboratorio ed è realizzato in materiale sintetico, il secondo viene
prelevato da cadavere e conservato a 80° celsius sottozero prima di essere
impiantato nell'articolazione a sostituzione del legamento lacerato. Di
solito è il ginocchio stesso dello sportivo infortunato a fornire i
tendini necessari alla ricostruzione del crociato rotto. L'articolazione
diventa così allo stesso tempo donatrice e ricevente. Si usano di solito i
tendini prelevati dall'interno della coscia o il tendine rotuleo, più di
rado il tendine del quadricipite.
Le modalità di
prelievo sono più o meno invasive ma tutte hanno un denominatore comune:
la asportazione di tendini sani attraverso una incisione chirurgica. Due
gli effetti potenzialmente negativi di questo gesto chirurgico:
alterazione della sofisticata biomeccanica dell'arto e lo sviluppo di
complicanze o danni chirurgici locali legati al prelievo. Effetti del
tutto assenti se si ricorre invece al trapianto da donatore o al legamento
artificiale.
Gli Interventi
In questo ultimo
caso il recupero post operatorio risulta accelerato per la notevole
riduzione della invasività chirurgica ed è del tutto assente il danno
estetico altrimenti causato dalla cicatrice chirurgica nella sede del
prelievo. Si tratta tuttavia di interventi che hanno anche qualche
controindicazione e dei limiti precisi.
Tanto che le
indicazioni sono ristrette solo a casi specifici. "Il legamento
artificiale per la sostituzione del crociato anteriore rotto in un
ginocchio infortunato non è certo una novità", chiarisce Giuliano
Cerulli, direttore della Scuola di Ortopedia dell'Università di Perugia
che ha di recente presentato i dati conclusivi di una ampia casistica di
impianti di legamento artificiale, "Sono stati impiantati soprattutto
negli anni ottanta e in gran numero, ma con risultati disastrosi. La
tecnica è stata in pratica abbandonata. Oggi è diverso. I legamenti
artificiali impiantati sono di seconda generazione. La loro resistenza
meccanica alla trazione si conserva inalterata alle prove di laboratorio
per 22 milioni di cicli".
Attività
Sportiva
Come dire dieci
anni di intensa attività sportiva anche ad alto rischio come il calcio a
cinque. Non solo: i materiali sono biocompatibili e bioattivi. Significa
che il tessuto del legamento viene riconosciuto come "amico" dal ginocchio
ricevente e invece di scatenargli contro una violenta infiammazione lo
accetta e lo integra colonizzandolo con cellule produttrici di collagene e
avvolgendolo di tessuto sinoviale. Di qui i risultati riportati nelle
casistiche di Cerulli: ritorno alla piena attività sportiva e lavorativa
in sole otto settimane e assenza di complicanze o effetti indesiderati nel
97% dei casi.
"Un intervento
che tuttavia non è per tutti", sottolinea Cerulli, "Il paziente deve
essere selezionato secondo precisi criteri di inclusione: età tra i 35 e i
55 anni, con disturbi continui al ginocchio infortunato e motivato dalla
necessità di una ripresa molto rapida delle attività sportive o
lavorative. Si tratta di circa il 7‑8% di tutti i pazienti infortunati e
che necessiterebbero di un intervento ricostruttivo. Una opportunità ad
esempio valida per un sportivo che alla vigilia di un importante impegno
agonistico vede sfumare l'occasione della sua vita per una rottura dei
legamenti, o più comunemente per un lavoratore che non può permettersi il
"lusso" di rimanere lontano dai suoi interessi per la lunga fisioterapia
altrimenti necessaria con il tradizionale intervento sul crociato".
Le Cicatrici
Assenza di
cicatrici e di danni estetici anche per il trapianto da donatore cadavere.
Sono spesso le donne a richiedere questa tecnica o comunque pazienti che
hanno precise necessità estetiche (indossatrici, personaggi televisi o
dello spettacolo). Estetica a parte i vantaggi sono anche di ordine
pratico: l'assenza di incisioni chirurgiche e di sacrificio di parti
anatomiche importanti come i tendini accelerano il recupero post
operatorio ed eliminano le possibili complicanze locali nella sede di
prelievo.
A chi serve
Pazienti che sono
già stati sottoposti più volte al prelievo dei tendini o hanno deficit
muscolari sono i candidati ideali a questo tipo di soluzione chirurgica.
Esistono tuttavia anche degli svantaggi potenziali che limitano le
indicazioni a questo intervento solo in casi accuratamente selezionati: la
conservazione del pezzo anatomico da trapiantare per alcune settimane a
bassissima temperatura assicura da una parte la morte della maggior parte
delle cellule in grado di scatenare una risposta di rigetto, ma dall'altra
riduce la sua attività biologica. Nel ginocchio viene cosi trapiantato un
legamento morto che ha in parte perso le sue caratteristiche meccaniche e
che deve essere colonizzato nel tempo dalle cellule del ginocchio che lo
ospita e da nuovi vasi sanguigni. Un periodo di integrazione del legamento
da donatore quindi più lungo rispetto al trapianto tradizionale e alla
base degli eventuali fallimenti meccanici che si possono verificare a
distanza.
(2 marzo 2006:
Repubblica
Salute - Anno
12, n. 481)
"Allevamento" di tendini
I frammenti
di tendine umano vengono allevati in contenitori di vetro: filamenti
sottili di tessuto tendineo sono depositati su strisce di tessuto
biodegradabile ed immersi nel liquido nutritivo. Quando le cellule
del tendine si sono riprodotte a sufficienza la striscia viene
interposta nei monconi del tendine rotto.
Frammento da impiantare
La striscia
viene poi cucita sui due monconi dei tendine rotto. Questo si
ricongiunge grazie al tessuto tendineo vitale contenuto nella
striscia.
Il
prelievo
Il prelievo
del tendine del ginocchio da donatore cadavere è eseguito in
ambiente sterile per ridurre il rischio di contaminazione del
ricevente. Il tendine poi viene congelato e conservato in una banca
dei tessuti. Alcuni frammenti sono conservati a parte per eseguire
le prove di compatibilità prima del trapianto.
Per Saperne di Più:
Lodispoto On-Line |
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TACCHI
ALTI E MAL DI TESTA

La donna che vorrà essere "alla moda" la prossima estate dovrà rispettare la
regola "TACCHI 10" ... intesa come centimetri di altezza dei tacchi stessi. Ma
questo miglior aspetto estetico ha come sempre un costo: camminare praticamente
sui trampoli, cercando costantemente un equilibrio e assumendo una posizione del
corpo e dei piedi completamente innaturale, genera alterazioni della postura
spesso fortemente negative.
Per limitare i problemi non si
dovrebbero calzare scarpe con tacchi così alti per più di 4-5 ore consecutive;
per evitare completamente i problemi l'ideale sarebbe comunque non utilizzare
tacchi di 10 centimetri, ma accontentarsi di 3-4 centimetri soltanto.
I danni più comuni causati da
un uso eccessivo o improprio dei tacchi alti sono i seguenti:
-
CEFALEA: stando a
lungo sui tacchi alti, per riuscire a restare in piedi in un costante equilibrio
instabile, si devono contrarre per tempi prolungati i muscoli del collo e delle
spalle, che di conseguenza si irrigidiscono e diventano dolenti. Da ciò spesso
deriva un mal di testa caratterizzato da dolore medio, ma continuo, localizzato
soprattutto alla zona occipitale del cranio.
-
LOMBALGIA E LOMBOSCIATALGIA:
la posizione del tutto innaturale, col passare del tempo, può alterare le curve
fisiologiche della colonna vertebrale,
accentuando la lordosi lombare e la cifosi dorsale. L'iperlordosi, patologia
abbastanza comune, è spesso causa di lombalgie e lombosciatalgie molto
fastidiose.
I disturbi si possono
alleviare (ma sarebbe meglio prevenirli ...) con esercizi di
ginnastica posturale e
stretching mirato.

Alterazioni dell'equilibrio e della postura causate dall'altezza
del tacco
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PROTEINE A CONFRONTO
Carni e Salumi contro i Legumi
Le proteine, costituite da
catene di diversi aminoacidi combinati tra loro, svolgono una funzione plastica:
sono cioè necessarie all'organismo umano per la costruzione di tutti i tessuti.
Questa funzione, detta anabolica, è massima nel bambino e nell'adolescente,
tuttavia si mantiene anche nell'adulto, in quanto le cellule del corpo sono
soggette a un costante processo di rinnovamento.
Le proteine sono contenute in percentuali consistenti nelle carni e nei salumi,
nei cereali, nelle uova, nei formaggi e nei legumi, ed in quote modestissime
nelle verdura e nella frutta.
Ma oltre alla quantità, è differente anche la qualità.
Il valore delle proteine
Di tutti gli aminoacidi necessari all'uomo, ve ne sono alcuni che non è in grado
di sintetizzare: questi sono perciò considerati essenziali e devono,
obbligatoriamente, essere introdotti con la dieta.
Il valore biologico degli alimenti a contenuto proteico, quindi, sarà maggiore
se essi contengono aminoacidi essenziali e, soprattutto, se li contengono nelle
proporzioni ottimali per il fabbisogno dell'uomo.
Solo gli alimenti di origine animale si avvicinano molto a questo equilibrio
(l'uovo arriva quasi alla perfezione). Le proteine vegetali, invece, sono
carenti di qualcuno di questi elementi: quelle dei cereali sono scarse di lisina,
quelle dei legumi scarse di aminoacidi solforati.
Un apporto bilanciato
Per garantirsi ogni giorno la necessaria quantità e varietà di proteine occorre
seguire un'alimentazione molto variata in cui, soprattutto nei periodi di
costruzione dell'organismo ed in quelli di rapida crescita, non manchino cibi di
origine animale.
I piatti che in epoche storiche diverse dalla nostra potevano sostituire le
carni e i loro derivati (riso e piselli, pasta e ceci, polenta e lenticchie)
hanno ridotto, oggi, parte del loro valore biologico. A causa dei processi di
raffinazione, infatti, i cereali che arrivano sulle nostre tavole possiedono un
quantitativo di proteine minore, rispetto ai cereali integrali che costituivano
l'originaria dieta mediterranea.
Ciononostante è possibile ancora seguire la tradizione, senza rinunciare a
piatti gustosi e scegliendo abbinamenti bilanciati e, magari, rivisitati anche
alla luce delle minori necessità caloriche dell'uomo moderno.
Proteine con gusto
D'inverno, per esempio, un buon piatto caldo a base di polenta integrale o di
grano saraceno e salsiccia grigliata o in sugo con vegetali stufati garantisce:
carboidrati, sali minerali, proteine e vitamine. Seguendo buone tecniche di
cottura anche il contenuto in grassi è accettabile.
E' un piatto ben digeribile e sufficientemente calorico. La salsiccia di suino,
infatti, oltre a garantire un alto contenuto di proteine (oltre il 22%) e di
vitamina PP, apporta anche sodio, potassio, ferro, calcio e fosforo. Per ridurre
le calorie basta dimensionare in modo adeguato le porzioni e non eccedere con i
sughi, come risulta dalla ricetta scelta, utilizzandone comunque al massimo un
cucchiaio da minestra per soggetto adulto.
APPROFONDIMENTI:
J. Baynes, MH. Dominiczak "Biochimica per le discipline biomediche". Ed.
UTET 2000
Medline Plus Medical Encyclopedia:
Protein in diet
Da
Dica33 la Banca dati degli alimenti
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ELETTROSEGMENTOGRAFIA
Leonardo Maria Leonardi
L'elettrosegmentografia
(ESG) permette lo studio della attività bioelettrica del tessuto
connettivo lasso.
IL
TESSUTO CONNETTIVO LASSO
Il tessuto connettivo
lasso, che si origina in seguito al processo di differenziazione del
mesenchima, è costituito da vari elementi cellulari (cellule
mesenchimali - indifferenziate e totipotenti, fibroblasti, macrofagi,
monociti, linfociti, granulociti ecc.) e dalla sostanza intercellulare,
che comprende le fibre (reticolari, collagene ed elastiche) e la sostanza
fondamentale amorfa. Quest'ultima, detta anche matrice amorfa, ha le
proprietà o di una soluzione colloidale molto viscosa (SOL) o di un gel
fluido (GEL) ed è costituita di acqua, componenti di scambio
sangue/tessuti (sodio, potassio, acidi grassi, proteine ...), sali,
vitamine, ormoni, enzimi e glicosaminoglicani.
Il tessuto connettivo
lasso è l'unico sistema in contatto diretto con tutte le cellule
dell'organismo. Tutti i processi di scambio, tra capillari e fibre nervose
terminali da una parte e cellule specifiche di organo dall'altra, devono
avvenire attraverso i flussi tessutali extracellulari che fanno parte del
tessuto connettivo.
La configurazione del
tessuto connettivo lasso cambia in presenza di processi che alterano le
funzioni vitali e che possono venire innescati da germi, intossicazioni,
ferite, infezioni, farmaci, disturbi regolatori, carichi stressogeni (come
il lavoro muscolare!) ... Il tessuto connettivo lasso rappresenta, quindi,
il primo sistema di difesa dell'organismo.
PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO
L'ESG indaga
esclusivamente le grandezze elettriche che si riferiscono al tessuto
connettivo lasso utilizzando una tensione di stimolo massima di 1 volt ed
una frequenza di 10 Hz ; questa ultima non può in alcun modo superare la
barriera della membrana cellulare (per indagare l'ambiente intracellulare
è necessario utilizzare frequenze superiori ai 5 kHz) e stimolare il
rilascio di endorfine con risultati terapeutici.
CAMPO
DI AZIONE
La malattia si sviluppa,
nella sua fase iniziale, nell'ambiente extracellulare (sistema di base di
Pischinger); da un determinato momento in poi essa coinvolge anche il
sistema intracellulare. Il periodo di tempo che intercorre tra una fase e
l'altra può variare da alcune settimane ad alcuni anni (è universalmente
noto che molte patologie si evidenziano con i loro sintomi proprio in
questo modo e, in questa fase, quasi sempre la "restitutio ad integrum"
risulta impossibile).
Mentre le tradizionali
tecniche di diagnosi (di laboratorio o strumentali) sono in grado di
individuare la presenza di forme patologiche solo dopo che queste
abbiano interessato anche l'ambiente intracellulare, l'ESG, ottenendo
informazioni che riguardano solamente la sostanza extracellulare, è in
grado di riconoscere gli stati patologici nella loro fase iniziale di
sviluppo o, come si suole dire, a livello ancora di funzione e non
ancora di danno anatomico.
La tecnica ESG viene utilmente applicata:
-
nella
identificazione della presenza di campi di disturbo silenti acuti
e/o cronici e delle catene patogenetiche causali (focolai odontogeni,
tonsillari, appendicolari ecc.)
-
nella
identificazione di tossiemie da impropria alimentazione e/o disbiosi
intestinale
-
nella
identificazione dei disequilibri ormonali
-
nel riconoscimento
di stati allergici e di intolleranze
-
nel riconoscimento
di disordini funzionali della colonna vertebrale
-
nel monitoraggio
della correttezza del percorso terapeutico intrapreso
-
nella verifica del
corretto metabolismo idrico
-
nella verifica
dello stato di acidosi tissutale
-
nella verifica
della eccessiva assunzione di sostanze voluttuarie eccitanti.
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DOSAGGIO DEGLI EICOSANOIDI E
DIETA
RAPPORTO TRA OMEGA-6 (AC. ARACHIDONICO) E
OMEGA-3 (EPA E DHA)
Davide Stangalini
(Specialista Biochimica Clinica)
www.fleming-research.it
La Scienza dell'Alimentazione ha oggi
raggiunto una maggiore consapevolezza che la dieta influenzi molti fattori
biochimici ed ormonali del nostro corpo, gli stessi meccanismi che influenzano
il nostro stato di salute complessivo e il senso di benessere e di sazietà. I
moderni Dietologi cercano pertanto un controllo di questi fattori ormonali e
biochimici con l'intervento di un regime alimentare equilibrato e sostenuto nel
tempo, in modo da instaurare un circolo virtuoso.
Tra i mediatori che si intende cercare di
equilibrare con la dieta ci sono gli eicosanoidi, ora dosabili anche in Italia
con un nuovo test eseguito con metodo gascromatografico.
Gli eicosanoidi fanno parte degli acidi grassi
essenziali, AGE o EFA (Essential Fatty Acids) così definiti e perché l'organismo
umano non li può generare, pertanto occorre assumerli con il cibo.
Gli eicosanoidi sono sostanze in grado di
modulare alcune risposte endocrine. Sono rappresentati da diverse famiglie di
sostanze (prostaglandine, tromboxani, leucotrieni, ecc.) e secondo i dietologi i
loro livelli possono essere modulati dall'assunzione di particolari farmaci e
dalla dieta.
Gli eicosanoidi possono per semplicità essere
distinti in Omega-6 tra cui l'Acido Arachidonico (AA) con effetti solitamente
negativi sul metabolismo o Omega-3 tra cui l'acido Eicosapentaenoico (EPA) e
l'acido Docosaesaenoico (DHA) con effetti positivi sul metabolismo.

I derivati dall'Acido Arachidonico (Omega-6)
hanno la capacità di aumentare le reazioni allergiche, la proliferazione
cellulare, la pressione sanguigna, le reazioni infiammatorie, l'aggregazione
piastrinica, la trombogenesi e il vasospasmo, aumentano il colesterolo LDL e
diminuiscono il colesterolo HDL.
Invece i derivati dall'EPA (Omega-3), hanno
effetti opposti.
Le influenze tra eicosanoidi e ormoni, in
particolare testosterone, insulina e ormone della crescita sono talmente
complicate che in Medicina si è solo agli inizi della comprensione completa
degli effetti complessivi.
L'obiettivo delle moderne diete che tendono a
stabilire un equilibrio complessivo nel metabolismo biochimico e ormonale è
strutturare una situazione alimentare che promuova la produzione di eicosanoidi
Omega-3 e reprima quella degli Omega-6. Tra gli obiettivi più attesi vi è anche
la regolazione dell'ormone
insulina capace
di modulare la presenza degli zuccheri nel sangue e dunque la produzione di
eicosanoidi Omega-6 che deriva dalle situazioni iperglicemiche (molto zucchero
nel sangue).
La ricerca scientifica è sempre più impegnata
per una maggiore comprensione dei meccanismi biochimici, genetici e ormonali che
ci regolano e si intuisce quanto gli sviluppi della ricerca Biomedica avranno in
futuro influenza sul nostro stato di
salute.
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AUMENTA L'OBESITà PEDIATRICA
L'obesità pediatrica è in preoccupante
crescita, dato che il 10-12% dei bambini italiani sono obesi e il 30-35%
sono in sovrappeso corporeo: questi sono gli allarmanti dati presentati
dall'Istituto Auxologico Italiano che ha effettuato una ricerca su più di
1500 bambini nel corso di sette anni.
I dati
raccolti dimostrano che in Italia l'obesità infantile è una malattia che
nel 25-50% dei casi si mantiene anche in età adulta, associandosi ad altri
disturbi fisici. Già nel 28% dei bambini obesi è presente la sindrome
metabolica, cioè la contemporanea presenza di altri fattori di rischio
oltre l'obesità, come l'ipertensione, l'ipertrigliceridemia o bassi valori
di colesterolo HDL.
"L'obesità - ha spiegato Alessandro Sartorio, direttore del laboratorio di
ricerche dell'Istituto Auxologico - colpisce in modo differente le classi
d'età visto che, sotto gli 8 anni, la percentuale è inferiore al 10%
mentre cresce oltre il 14-16% per i bambini tra i 9 e i 13 anni. Vi sono
poi più maschi obesi che femmine e, come per gli adulti, è una malattia
maggiormente diffusa nel sud della penisola".
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La NEURALTERAPIA è una terapia molto valida
per la cura delle patologie di origine osteo-articolare; consiste in micro
iniezioni che si effettuano penetrando nella cute meno di 1 millimetro,
con aghi molto sottili (simili a quelli usati per la MESOTERAPIA). Queste
iniezioni vengono eseguite in punti che dipendono dalla patologia che si
vuole curare: a volte coincidono con i punti di agopuntura o sono situati
nella sede dei cosiddetti "campi di disturbo" (cicatrici, zone
traumatizzate, focolai cronici ...).
I FARMACI
Si utilizzano farmaci omeopatici e/o
fitoterapici associati a piccole quantità di procaina (un anestetico
locale).
COME FUNZIONA
Considerando la piccolissima quantità di
procaina e la superficialità dell'iniezione, non agisce certo
"anestetizzando" la parte trattata. Agisce "ripolarizzando" le cellule
che, per problemi patologici, si comportano come delle batterie scariche,
disturbando i tessuti sani circostanzi e, talvolta, anche quelli distanti
dalla parte interessata.
Si può intervenire su:
-
forme reumatiche, artrosiche ed artritiche,
lombalgie, cervicalgie, sindrome del tunnel carpale, ernia del disco
stabilizzata;
-
patologie articolari di origine autoimmune
(come l'artrite reumatoide e il lupus);
-
patologie post-traumatiche
-
dolore (post-operatorio, post-traumatico,
da herpes-zooster).
è possibile associarla ad altre terapie,
sia convenzionali che omeopatiche, omotossicologiche, fitoterapiche.
CONTROINDICAZIONI
Gravidanza, insufficienza renale grave,
miastenia, deficit di colinesterasi, terapia anticoagulante, insufficienza
epatica grave, bradicardia e blocco di branca, insufficienza coronarica,
ipersensibilità alla procaina (rara).
LETTERATURA SCIENTIFICA
Biblioteca dell'Università Statale di Roma
- Dipartimento di Neuroscienze.
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UNA PROTEINA COLPEVOLE
DELL'OBESITà?
(NATURE REVIEWS DRUG DISCOVERY, Gennaio 2003)
Da una ricerca pubblicata su NATURE
(420, Novembre 2002) si evidenzia il ruolo fondamentale di una proteina in
due gravi malattie metaboliche: Obesità e Diabete tipo 2. Cavie di
laboratorio nutrite con una dieta iperlipidica o geneticamente obese,
mostrano infatti un'alta quantità della proteina JNK1 (Jun-Nterminal
kinase) nei tessuti epatici e nei muscoli. Nei topi senza JNK si ha meno
obesità e minor resistenza all'insulina. Le condizioni di obesità sono
inoltre associate a reazioni infiammatorie croniche con una produzione
anormale di citochinine. Un'elevata produzione da parte del tessuto
adiposo di una di queste, chiamata TNF (tumor necrosis factor alpha), è
stata riscontrata in individui obesi.
Poichè TNF e acidi grassi liberi (FFA) sono
potenti attivatori di JNK1, si può postulare che l'obesità sia legata ad
un alterato controllo metabolico di JNK. Altri tipi di JNK sono coinvolti
in malattie metaboliche quali artrite reumatoide, epilessia e malattie
neurodegenerative.
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l'obesità PUò ridurre la durata della vita anche di 20 anni!
(JAMA 2003;289:187-193)
NEW YORK (Reuters Health) - I risultati di
un nuovo studio statunitense indicano che, in media, l'obesità può
accorciare di più di 10 anni la vita di una persona; agli uomini di
colore, addirittura, può abbreviarla anche di 20 anni. Le scoperte,
pubblicate sul numero dell'8 Gennaio del Journal of the American Medical
Association, supportano l'idea che l'eccesso di peso corporeo sia un
problema per la salute, e dovrebbe stimolare i medici e i funzionari della
sanità pubblica a raddoppiare gli sforzi per arginare la crescente
epidemia di obesità. "L'eccesso di peso non ha ricevuto la stessa
attenzione da parte dei medici e dei funzionari della sanità pubblica di
altri fattori che minacciano la salute, come l'uso di tabacco,
l'ipertensione, o l'ipercolesterolemia," scrivono in un editoriale di
accompagnamento Joann E. Manson e Shari S. Bassuk, del Brigham and Women's
Hospital di Boston. "Non è sorprendente che i tassi di obesità continuino
a crescere." I risultati mostrano che "l'obesità ha un importante effetto
sulla durata della vita," dichiarano l'autore dello studio, David B.
Allison, della University of Alabama di Birmingham, e i suoi
collaboratori. Secondo il report, l'obesità è particolarmente pericolosa
per i giovani. Gli uomini bianchi gravemente obesi, di età compresa tra i
20 e i 30 anni, vivono circa 13 anni in meno degli altri individui
della popolazione generale. Le donne bianche gravemente obese hanno
un'aspettativa di vita di 8 anni più breve rispetto alle loro
controparti non obese. L'obesità ha anche un importante effetto sulla
durata della vita dei giovani di colore. I giovani di colore obesi, tra i
20 e i 30 anni, perdono circa 20 anni e le donne obese di colore perdono
circa 5 anni di vita, anche dopo aver aggiustato i dati per l'abitudine al
fumo. Secondo lo studio basato sui dati di osservazione nazionale, gli
adulti bianchi con un indice di massa corporea (BMI) da 23 a 25 e gli
adulti di colore con un BMI da 23 a 30 sono vissuti più a lungo. I
risultati quantificano i rischi sanitari associati all'obesità,
specialmente per i giovani e gli adulti di mezza età. I ricercatori
avvertono che, poiché circa due terzi della popolazione adulta degli USA è
in sovrappeso od obesa, queste scoperte predicono una crisi sanitaria in
evoluzione. Gli autori richiedono ulteriori studi, particolarmente sulle
apparenti differenze razziali osservate. Nondimeno, questi risultati
"confermano che l'obesità è uno dei più gravi problemi di sanità pubblica
che sembra diminuire marcatamente l'aspettativa di vita, specialmente tra
le persone nei più giovani gruppi d'età," come concludono il Dr. Allison e
i colleghi.
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ELENCO UFFICIALE
INTEGRATORI ALIMENTARI
è stato pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale l'elenco dei prodotti autorizzati per
l'integrazione alimentare nello sport.
Questi sono gli
estremi per la consultazione:
GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA - Roma - Giovedì, 19 dicembre
2002 - N. 234
MINISTERO DELLA SALUTE
Decreto 19 novembre
2002
"Elenco dei
prodotti autorizzati ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo 27
gennaio 1992, n. 111, come alimenti adattati ad un intenso sforzo
muscolare soprattutto per gli sportivi."
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INFLUENZA 2002
L' autunno è alle porte ed è proprio questo
il periodo consigliato per le vaccinazioni antinfluenzali. Bisognerà
quindi cominciare ad andare in farmacia per premunirci. Quest'anno c'è una
novità: un vaccino arricchito per proteggerci anche dai virus più
temibili. Prodotto con l'aggiunta di un "adiuvante" chiamato MF59,
potenzia la risposta immunitaria rispetto ai vaccini tradizionali.
La vaccinazione rimane il mezzo migliore,
in termini di costo-efficacia e costo-beneficio, per prevenire
l'influenza. Anche senza considerare le ricadute di questa malattia in
termini di morbilità e spesa sanitaria, all'influenza sono associate serie
complicazioni qualora si verifichino superinfezioni batteriche. Essa
inoltre è responsabile di un eccesso di mortalità nelle categorie di
soggetti maggiormente a rischio in ragione dell'età avanzata o della
preesistenza di condizioni morbose predisponenti.
ATTENZIONE AI SINTOMI
L'influenza costituisce un serio problema
epidemiologico per la sua ubiquità, contagiosità, la variabilità
antigenica dei virus influenzali, l'esistenza di serbatoi animali e le
possibili gravi complicanze. Poiché i suoi sintomi sono simili a quelli di
altre malattie, il termine "influenza" viene spesso impropriamente
attribuito ad affezioni delle prime vie aeree, di natura sia batterica sia
virale: ciò porta à minimizzare l'importanza di questa infezione come
causa di morbosità e mortalità. La stima dei casi in quest'ultimo anno
porta a un valore complessivo di 2.606.522 rispetto ai 4.496.526 dell'anno
precedente. Le previsioni per la stagione 2001/2002, sono di un altro anno
tranquillo in termini di numeri complessivi. Infatti gli stipiti
circolanti non differiscono molto da quelli degli ultimi anni e pertanto
molte persone potranno sfuggire all'infezione. Ciononostante non si deve
sottovalutare il problema e tener conto che i casi di influenza che si
osserveranno avranno comunque le stesse caratteristiche di sempre. Non si
tratterà quindi di forme più lievi, ma solo di una stagione non
particolarmente pesante dal punto di vista numerico.
La vaccinazione antinfluenzale è
raccomandata (e fornita gratuitamente dal SSN) per le seguenti categorie
di persone:
-
persone al di sopra
dei 64 anni
-
soggetti in età
infantile ed adulta affetti da malattie croniche dell'apparato
respiratorio, circolatorio, uropoietico. Malattie degli organi
emopoietici, diabete ed altre malattie dismetaboliche, sindromi da
malassorbimento intestinale, fibrosi cistica, altre malattie congenite o
acquisite che comportino carente produzione di anticorpi e infine,
patologie per le quali sono programmati importanti interventi chirurgici
-
soggetti addetti a
servizi pubblici di primario interesse collettivo
-
personale di
assistenza o contatti familiari di soggetti ad alto rischio
-
bambini reumatici
soggetti a ripetuti episodi di patologia disreattiva che richiede
prolungata somministrazione di acido acetilsalicilico e a rischio di
Sindrome di Reye in caso di infezione influenzale.
Al
contrario il vaccino non dovrebbe essere somministrato a persone con
ipersensibilità alle proteine dell'uovo o ad altri componenti del vaccino
stesso, a meno di un'attenta valutazione dei benefici in confronto ai
possibili rischi.
In ogni caso le persone vaccinate
dovrebbero essere ragguagliate sul fatto che, particolarmente nella
stagione fredda, infezioni respiratorie e sindromi di tipo influenzale
possono essere provocate da molteplici agenti batterici e virali, nei cui
confronti il vaccino antinfluenzale non può avere alcuna efficacia
protettiva. E' bene infine ricordare che la vaccinazione antinfluenzale
non è controindicata né durante la gravidanza, né nel periodo
dell'allattamento.
Oltre ai vaccini influenzali, è possibile
potenziare le difese dell'organismo con l'alimentazione; in particolare
privilegiando cibi che contengono sostanze antiossidanti, infatti, i
processi ossidativi delle cellule mettono a rischio il nostro sistema
immunitario.
PER CHI PREDILIGE I METODI NATURALI
In farmacia sono disponibili anche i
vaccini omeopatici. L'Oscillococcinum in particolare, risulta il più
efficace: prodotto con fegato d'anatra, agisce come antivirale poiché i
volatili, migrando da emisfero a emisfero, giungono alle nostre latitudini
trasportando il virus prima che arrivi l'epidemia. Come tutti i rimedi
omeopatici, affinché sia utile, deve però essere preso regolarmente. La
terapia prevede la somministrazione di un tubetto (contenente granuli) per
tre volte i primi due giorni (mattina – sera - mattina) e successivamente
un tubetto la settimana, lo stesso giorno alla stessa ora (Per esempio,
ogni lunedì prima della colazione). La cura va iniziata a ottobre e
proseguita almeno fino a marzo.
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RAFFREDDORE: UN
NUOVO APPROCCIO TERAPEUTICO (dal sito
www.okmedico.it)
di
Daniela OVADIA
Il comune raffreddore che colpisce in
autunno e in inverno non è certo una malattia grave tranne che per i rari
casi di pazienti con immunodepressione e o asma grave. Eppure questo
fastidioso disturbo è tanto invalidante da causare in media un giorno di
assenza l'anno tra i lavoratori italiani. Forse per questa ragione un
gruppo di medici dell'università della Virginia, negli Stati Uniti, ha
deciso di sperimentare un trattamento che combina i comuni spray nasali
antistaminici (in questo caso a base di clorfeniramina) con un
antinfiammatorio (ibuprofene) e un inibitore della replicazione virale,
l'interferone alfa2b.
"Circa 24 ore dopo essere stati esposti al virus del raffreddore i 150
volontari selezionati sono stati suddivisi in tre gruppi. Il primo ha
ricevuto la tri-terapia, il secondo solo ibuprofene e antistaminico, il
terzo placebo", spiega John Gwaltney, microbiologo e autore dello studio
apparso su Journal of Infectious Diseases. "Nei cinque giorni di
trattamento il primo gruppo ha visto una riduzione della sintomatologia
del 73 per cento e il secondo solo del 33. Inoltre il gruppo trattato coi
tre farmaci ha consumato circa la metà dei fazzoletti rispetto ai
controlli".
LA
VITAMINA "C" è UN MITO
CONTROVERSO
Il
trattamento proposto dai microbiologi americani difficilmente verrà
confezionato per l'uso comune dato il suo costo elevato. Ma questo non
sembra turbare gli autori della ricerca: "Il nostro scopo era quello di
dimostrare che il raffreddore non si previene e non si cura con un farmaco
o un rimedio solo, come crede la gente che si riempie di vitamina C, il
cui ruolo è invece ancora controverso. Gli studi effettuati, infatti,
negano che sia utile in prevenzione, mentre probabilmente accorcia
leggermente la durata dei sintomi se assunta in altissime dosi durante la
malattia" continua Gwaltney. "E' necessario invece un approccio completo,
dato che i farmaci sintomatici non abbreviano la durata della malattia
mentre l'inibitore della replicazione virale non può essere utile da solo
se assunto quando i sintomi sono già presenti".
COSA DICONO LE
REVISIONI SISTEMATICHE
Non tutti concordano col ricercatore statunitense, dato che gli studi
volti a dimostrare la maggiore o minore efficacia dei diversi rimedi
contro il naso che "cola" sono numerosi; la Cochrane Collaboration, ente
britannico che promuove le revisioni sistematiche per fornire indicazioni
terapeutiche evidence based, ha esaminato alcuni dei più comuni. Gli
interferoni per via nasale, come quello usato nello studio, hanno, per
esempio, un elevato potere protettivo nei confronti della malattia
somministrata in ambiente sperimentale (con una riduzione delle infezioni
del 50 per cento circa). Il loro uso su vasta scala, però, presenta alcuni
inconvenienti. In uno studio profilattico in ambiente comunitario l'uso
prolungato di interferone ha provocato sanguinamenti nasali e abbondante
produzione di muco. In pratica, affermano i revisori, l'effetto degli
antivirali assunti per lungo tempo è simile a quello della malattia che si
vuole prevenire!
GLI ANTIBIOTICI
NON SERVONO
Che gli antibiotici non servano contro i rinovirus è una realtà che
tutti i medici conoscono, ma che deve fare i conti con l'insistenza dei
pazienti e, talvolta, con l'idea che, in alcuni malati a rischio, la
copertura antibiotica possa essere utile per prevenire le sovrainfezioni
batteriche. "Tutti gli studi che abbiamo esaminato concordano nel ritenere
gli antibiotici inutili, se non dannosi" conferma Brian Arroll,
coordinatore della revisione in materia. "Solo uno studio su nove nota una
riduzione delle assenze dal lavoro nei malati trattati, ma la differenza
non è statisticamente significativa".
VIA LIBERA ALL'ECHINACEA
In questo tipo di malattia lieve i pazienti ricorrono spesso al fai da
te e ai prodotti di erboristeria. Tra quelli ritenuti più efficaci dalla
vox populi vi sono gli estratti di Echinacea angustifolia, una pianta
della famiglia delle Composite. I revisori della Cochrane Collaboration
hanno esaminato 16 studi per un totale di oltre 4.000 pazienti trattati
con la pianta. La maggior parte delle ricerche riporta risultati positivi
sia nel trattamento sia nella prevenzione del raffreddore comune, anche se
la varietà delle preparazioni impiegate e la difficoltà nel titolare
esattamente la quantità di principio attivo rendono i dati difficilmente
comparabili tra loro e quindi non completamente attendibili.
UN METALLO
PREZIOSO
Vi sono, invece, buoni motivi teorici per credere che lo zinco possa
ridurre la sintomatologia da raffreddore, in quanto lo ione in questione
sarebbe in grado di legarsi ai terminali carbossilici del rivestimento del
Rinovirus, impedendone l'ingresso nelle cellule. Le sette indagini
esaminate dagli esperti non sono state però ritenute sufficienti per dare
indicazioni certe e inequivocabili in merito.
NON
è SOLO FUMO
E' difficile per un
medico rimandare a casa un paziente con la semplice prescrizione di
respirare una pentola di vapore acqueo al giorno. Eppure, in base alla
revisione sistematica, è questa la terapia più utile. Gli studi effettuati
su questo antico rimedio (per la verità solo tre, per un totale di circa
320 partecipanti) ne confermano l'efficacia nel diminuire la congestione
nasale e nel favorire l'eliminazione del muco in eccesso. Il vapore, però,
non agisce per nulla sulla quantità di virus contenuta nelle secrezioni,
malgrado l'elevata temperatura.
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RICERCA DI
BASE E LINEE GUIDA PER COMBATTERE L'ASMA (dal sito
www.okmedico.it)
di
Daniela OVADIA
Per
i circa tre milioni di asmatici italiani si profilano novità interessanti
nel campo della ricerca di base che potrebbero condurre presto alla messa
a punto di trattamenti innovativi.
La versione on line della prestigiosa rivista Nature Medicine ha
pubblicato recentemente uno studio sulla lipoxina A4 (LXA4), una sostanza
prodotta dall'organismo per regolare il traffico cellulare durante gli
attacchi di broncocostrizione o di iperreattività bronchiale. LXA4, nella
sua versione naturale, ha un limite costituito dalla brevissima vita.
Charles Serhan, anestesista e docente di biochimica presso l'Università di
Harvard, negli Stati Uniti, ne ha messo a punto una versione di lunga
durata. "LXA4 blocca l'infiammazione intercettando le cellule che la
sostengono" spiega Serhan. "La forma sintetica messa a punto dal nostro
laboratorio e battezzata Lxa mima l'azione di quella naturale ma dura più
a lungo".
Per ora la sperimentazione è stata avviata, con successo, solo su topi
geneticamente modificati per essere affetti da asma, ma le case
farmaceutiche sono già interessate alla messa a punto e alla produzione su
vasta scala. "Per sapere se funzionerà sull'uomo dobbiamo produrre un topo
geneticamente modificato per esprimere la versione umana del gene LXA4"
conclude Serhan.
UN GENE CHIAMATO ADAMO
Ulteriori novità riguardano la scoperta del gene responsabile dell'iperreattività
bronchiale nelle forme familiari di asma.
Battezzato ADAM33 e posto sul cromosoma 20, è stato individuato da un
gruppo di ricercatori dell'Università di Southampton, in Gran Bretagna
analizzando il DNA di 450 famiglie con almeno due figli asmatici. Non solo
l'asma conclamato è legato alla presenza del gene, ma lo sarebbe anche la
semplice sensibilità agli stimoli allergenici come gli acari della
polvere, l'inquinamento e le infezioni virali. La proteina prodotta dal
gene in questione agisce come mediatore dell'infiammazione e, col tempo,
favorisce l'ispessimento della mucosa bronchiale che mantiene attivo il
meccanismo dell'ipersensibilità.
Individuando precocemente (addirittura durante la vita fetale) i bambini
portatori sarà possibile evitare l'esposizione agli stimoli allergenici
con particolari accorgimenti alimentari e di arredamento della casa. In un
secondo tempo i ricercatori britannici sperano di mettere a punto un
farmaco in grado di bloccare l'attività di ADAM33.
LINEE GUIDA FAVOREVOLI AL CORTISONE
Attendendo le novità della terapia genica, gli esperti confermano
l'utilità delle terapie attualmente disponibili per il controllo della
malattia.
I National Institutes of Health statunitensi hanno recentemente
revisionato le linee guida in materia di asma, ponendo l'accento sulle
novità emerse dalla letteratura scientifica negli ultimi cinque anni.
"Si conferma l'utilità di una terapia graduale in base alla gravità degli
attacchi" spiega William Busse, coordinatore del panel di esperti che ha
prodotto la revisione. "In prima linea, però, rimangono gli steroidi
inalatori, che hanno la capacità di tenere a bada l'infiammazione che
costituisce, in base agli studi più recenti, il meccanismo principale di
cronicizzazione del disturbo".
Ovviamente gli steroidi da soli possono non bastare e quindi la terapia
combinata che prevede anche l'uso di beta2 agonisti a lunga durata sembra
essere la più efficace per i casi di gravità moderata e intensa. "Questa è
oramai una certezza nel campo dell'asma anche se mancano studi specifici
di terapia combinata nei bambini, sui quali viene invece usata molto
frequentemente" aggiunge Busse.
Gli esperti hanno anche rivisto tutti gli studi riguardanti il ritardo di
crescita nei bambini sottoposti a cure con steroidi, concludendo che i
rischi sono molto limitati e che spesso lo sviluppo più lento è un
fenomeno reversibile alla sospensione della terapia. "Sono comunque
necessari ulteriori ricerche su bambini di età inferiore ai cinque anni"
afferma Busse. Nuove raccomandazioni riguardano anche l'uso degli
antileucotrieni, una recente classe farmacologica che viene proposta solo
come terapia combinata per la cura delle forme gravi e non come farmaco di
prima scelta. "In primo luogo rimane il buon vecchio cortisone" conclude
Busse, confermando quanto espresso anche dalle
linee guida italiane in materia datate
2001 e consultabili on line. Un capitolo a parte è dedicato all'uso degli
antibiotici nell'asma: spesso abusati, sono utili solo in caso di
sovrainfezione batterica accertata e non a scopo preventivo nelle
affezioni stagionali su base virale.
Infine, le linee guida americane (scaricabili)
propongono un modello di autogestione della malattia da parte del paziente
che si è dimostrato utile nel limitare le complicanze e il peggioramento
dell'asma.
I "PUFF" SOTTO ACCUSA
Quest'ultima raccomandazione sembra contraddetta da uno studio
pubblicato dal British Medical Journal che punta il dito sui famosi "puff"
di beta agonisti a breve durata d'azione usati dai pazienti in
autosomministrazione per far fronte alla crisi acuta.
Analizzando i dati di 96.000 asmatici, i medici si sono accorti che la
mortalità è molto più elevata tra coloro che hanno usato molti "puff"
nell'ultimo anno di vita rispetto a coloro che si limitano alla terapia
steroidea.
Il risultato, che apparentemente mette in discussione sia la molecola
contenuta nei dispenser sia la capacità di autogestione del malato, può
però essere letta in senso opposto.
I malati più gravi, infatti, fanno ricorso con maggiore frequenza a questo
tipo di trattamento che offre un sollievo immediato al senso di
soffocamento, mentre lo steroide agisce solo sulla lunga distanza. E'
probabile, dicono gli esperti britannici, che l'uso eccessivo di "puff"
sia dovuto anche a uno scarso controllo della malattia in asmatici che
consultano raramente il medico o che non vogliono usare correttamente gli
steroidi.
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ALZHEIMER: DA STOCCOLMA
TUTTE LE NOVITà
(dal sito www.okmedico.it)
di
Daniela OVADIA
TRA 50 ANNI
MOLTI PIù CASI
Nel 2050 i casi di
malattia di Alzheimer saranno tre volte più numerosi di adesso. Lo ha
annunciato un gruppo di epidemiologi dell'università di Chicago nel corso
della recente Conferenza Internazionale sulle demenze tenutasi a
Stoccolma. La stima riguarda la popolazione statunitense, essendo stata
fatta su dati raccolti dai Centers for Disease Control di Atlanta, ma,
poiché la tendenza della diffusione della malattia è simile in tutti i
Paesi, la proiezione è da ritenersi valida anche per l'Europa.
"La diffusione aumenterà, ovviamente, nella fascia di età superiore agli
85 anni" afferma Denis Evans, coordinatore dello studio. "La maggiore
sopravvivenza dovuta allo sviluppo di terapie adatte alle più frequenti
malattie geriatriche accresce la probabilità individuale di sviluppare
questo tipo di demenza". è infatti ormai certo che, entro certi limiti,
le degenerazioni amiloidi tipiche della malattia di Alzheimer sono
presenti, in quantità variabile, anche nel processo fisiologico di
invecchiamento e si dimostrano tanto più invalidanti quanto più si procede
con l'età. Una stima effettuata nel 2001 dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità individuava circa 37 milioni di pazienti affetti da demenza
nel mondo: di questi circa otto su dieci sono affetti da Alzheimer. Non a
caso la ricerca in questo campo non si arresta mai e le nuove scoperte
sono orientate al trattamento sempre più precoce della malattia, con lo
scopo di rallentarne l'inevitabile progressione con il suo corteo di costi
sociali e umani.
UNA PET
SPECIFICA AIUTA LA DIAGNOSI
Un aiuto concreto in questa direzione giunge dall'Università di
Pittsburgh, negli Stati Uniti, dove per la prima volta è stato messo a
punto un mezzo di contrasto, chiamato componente Pittsburgh B o PIB, in
grado di segnalare, nel corso di una tomografia a emissione di positroni (PET),
la presenza di placche di amiloide. La scoperta consentirà di fare
diagnosi di Alzheimer anche in fase preclinica, ma, soprattutto, di
valutare l'efficacia di farmaci vecchi e nuovi sulla malattia. La maggior
parte delle sostanze in commercio è infatti indirizzata contro le placche
di amiloide anche se fino a oggi non è stato possibile quantificarne
l'effetto in modo obiettivo.
"Ci è voluto molto tempo per mettere a punto questo mezzo di contrasto" ha
detto William Klunk, dell'Università di Pittsburgh, nel corso del convegno
di Stoccolma. "I problemi erano infatti numerosi: deve oltrepassare la
barriera ematoencefalica, legarsi all'amiloide e non essere tossica per
l'organismo. Inoltre la singola placca è invisibile all'occhio umano,
persino col microscopio. Ciò che si vede, con la nostra tecnica, sono le
aree di deposito della sostanza". Il mezzo di contrasto è stato usato su
nove pazienti e su altrettanti soggetti sani. I risultati sono
inequivocabili: i cervelli dei malati mostrano aree di captazione molto
diffuse. Inoltre, grazie a questa tecnica di neuroimmagine, è possibile
distinguere forme diverse della malattia: un deposito prevalentemente
frontale, per esempio, rende ragione di una sintomatologia psichiatrica
predominante e consente di mettere a punto trattamenti specifici. Il PIB è
però ancora una sostanza sperimentale: per poterla usare correntemente
sono necessari ulteriori studi che ne confermino l'innocuità.
ANCORA BUONE
NOTIZIE DALLE STATINE
La conferenza svedese ha fornito notizie interessanti anche in campo
terapeutico. Dal punto di vista della prevenzione è stata confermata
l'efficacia delle statine. In uno studio dell'Università di Boston su 895
pazienti e su 1.483 familiari, le molecole anticolesterolemiche hanno
dimostrato di essere in grado di ridurre del 39 per cento il rischio di
sviluppare la malattia.
"Il colesterolo, una volta penetrato nel cervello, agisce come una sorta
di collante nei confronti dei precursori dell'amiloide" spiega Robert
Green, autore dello studio. "Ma il nostro studio è ancora solo indicativo,
dato che coinvolge un piccolo numero di malati". Una nuova ricerca su un
maggior numero di malati dovrebbe partire nei prossimi mesi grazie al
National Institute of Aging statunitense. Verrà utilizzata la simvastatina.
"Tutte le statine penetrano attraverso la barriera ematoencefalica e sono
in grado di agire a livello cellulare" spiega Green. "La simvastatina,
però, sembra un po' più efficace delle altre in questo compito, ed è
esattamente ciò che lo studio dovrà dimostrare. Nel frattempo non vi sono
ancora sufficienti prove da indurre i medici a prescrivere le statine al
solo scopo di prevenire questa forma di demenza".
GLI
ANTINFIAMMATORI, INVECE, NON SERVONO
Marcia indietro, invece, per quanto riguarda l'utilità degli
antinfiammatori. Uno studio della Georgetown University di Washington
dimostra che questa categoria di farmaci non ha alcun effetto sulla
progressione del declino cognitivo. "Abbiamo selezionato 351 pazienti e li
abbiamo trattati per 12 mesi con rofecoxib a 25 mg al giorno, naprossene a
200 mg due volte al giorno o con placebo" spiega Paul Aisen, autore della
ricerca. "Lo scopo era di verificare se ci fossero differenze di efficacia
tra antinfiammatori non steroidei selettivi o non selettivi".
L'outcome primario della ricerca era la misura della performance cognitiva
a 12 mesi rispetto alle prestazioni di base, misurate usando l'Alzheimer's
Disease Assesment Scale (ADAScog), una delle scale di valutazione più
diffuse. In seconda istanza, invece, sono stati valutati eventuali
cambiamenti nella vita di tutti i giorni, tra cui l'istituzionalizzazione
e il decesso. "I cambiamenti nelle prestazioni cognitive nei tre gruppi
non sono statisticamente significative" spiega Aisen. "Sono invece più
frequenti i sanguinamenti gastrointestinali nei gruppi trattati rispetto
al gruppo placebo. L'ipotesi infiammatoria nella genesi della malattia di
Alzheimer è affascinate, ma ancora non sufficientemente provata".
PREVENZIONE DELLA DISABILITà
PRECOCE E MOVIMENTO PER I PAZIENTI CON M. DI ALZHEIMER.
di
Alberto CESTER
L'attività motoria è da intendersi nella terza età come una medicina. E'
scientificamente dimostrato come una attività motoria continuativa
migliori la velocità della marcia ed i metri percorsi. Si sa da sempre
come corpo e mente siano intimamente collegati, lo "star bene" è un
sottile equilibrio tra sensazioni del corpo e della mente e tale
sensazione ha molto a che fare con la cosiddetta "ecologia di vita" che è
individuale. Ovviamente ogni attività motoria dovrà essere
personalizzata in base alle caratteristiche della persona, alle
funzioni d'organo individuali e correlata al modello di invecchiamento del
singolo.
Sappiamo
ormai perfettamente come nell'invecchiamento fisiologico, la forza si
riduca in genere con il passare degli anni, raggiungendo un acme verso i
30 anni e riducendosi fino ad oltre il 30-40% all'età di 80 anni. Tale
decremento si collega con una involuzione di vari sistemi e meccanismi
organici di controllo, ma soprattutto con quella che si definisce
sarcopenia, riduzione delle fibre muscolari nobili, prevalentemente quelle
a contrazione rapida. Parallelamente diminuisce con l'età in entrambi i
sessi, la quantità di ossigeno consumato nello sforzo massimale.
Invecchiamento articolare, usura dei sistemi capsulo-muscolo-ligamentosi,
deficit muscolari acquisiti e patologie delle articolazioni antigravitarie
collegate all'età fanno il resto ...
Di
fronte alla demenza di Alzheimer, malattia caratterizzata da perdita
cronica di funzioni oltre che cognitive motorie specie nelle fasi più
avanzate, sappiamo come il movimento quotidiano e l'attenzione al
peggioramento delle performance motorie e dei passaggi di postura dovrà
essere alta e costante.
Va
insegnato ai parenti ed ai care giver formali ed informali che il
movimento è parte integrante del processo di cura, alla stregua delle
medicine, delle attenzioni protesico ambientali e dei comportamenti
assertivi in risposta alle reazioni catastrofiche, che spesso costellano
il panorama assistenziale di questi soggetti. Talvolta l'attività motoria
costante, la sola passeggiata, in ambiente tranquillo con persone
conosciute e care, può rappresentare una valida opposizione a
comportamenti motori aberranti (vagabondaggio), a difficile riposo
notturno (compresa la sun down sindrome) e ad episodiche agitazioni
incontrollabili talora anche dai farmaci.
Le fasi
più delicate della malattia di A. oltre a quelle collegate all'esplosione
dei disturbi del comportamento e para psicotici, alla perdita di funzioni
di controllo degli sfinteri sono quelle collegate al peggioramento delle
capacità di movimento. Iniziano le incertezze della marcia, la regressione
delle più elementari attività di controllo delle cadute cioè la scomparsa
delle cosiddette "reazioni di protezione a paracadute", che ognuno di noi
attiva spontaneamente di fronte ad un pericolo motorio di caduta
accidentale (ad esempio l'estensione in avanti delle braccia per
proteggersi dopo essere inciampati).
L'ipocinesia,
il rallentamento motorio globale, divengono così un altro dei passaggi
"luttuosi" della malattia, in cui anche la "passeggiatina" quotidiana con
il proprio caro viene negata al care giver.
La
prevenzione della disabilità è la vera e forse unica medicina per gli
anziani, in particolare per i dementi diviene uno dei fondamenti di
valutazione anche dei risultati delle terapie. L'ipomobilità, l'incertezza
del cammino, la difficoltà nei trasferimenti e nei dietro front, sono
spesso l'anticamera di rovinose cadute, di fratture e di perdita
dell'autonomia, se non di richiesta di istituto o peggio di morte.
è
chiaro che ogni richiesta di performance motorie e di indicazioni a queste
attività anche di base, deve essere supportata da una buona conoscenza
personale del caso da parte del Medico (concetto di alleanza terapeutica,
particolarmente importante tra medico e care giver nella demenza).
L'allenamento alle attività motorie continuativo è una delle attività
preventive all'immobilità della terza età. Ovviamente ognuno sa in genere
quanto poter chiedere al proprio fisico in termini di prestazioni, questa
regola non vale per i pazienti con disturbi cognitivi, che vanno avviati
con cautela alle attività motorie anche con programmi di ginnastica
dolce. Il paziente per sottoporsi ad esercizi ginnici anche semplici e
coscienti deve essere ancora cognitivamente se non completamente integro,
abbastanza presente, da poter eseguire e comprendere i gesti richiesti dal
terapista.
L'aprassia cioè l'incapacità di comprendere ed eseguire gesti anche
semplici, che magari passivamente guidati si sanno ancora compiere,
ostacola ogni programma cosciente di esercizi di gruppo. Spesso anche le
ultime funzioni imitative specie nelle fasi avanzate della malattia,
scompaiono, impedendo al paziente ogni approccio cosciente ad attività
motorie controllate e corticalizzate.
La
perdita di schemi motori e funzioni segmentarie e complesse
nell'esecuzione dei gesti è talvolta talmente drammatica nelle fasi
avanzate della cosiddetta regressione o (con termine più aggiornato da B.
Reisberg dell'Università di New York) retrogenesi della malattia,
da equiparare i comportamenti motori dei dementi di Alzheimer alle
attività neurologiche gerarchiche primordiali dei primi anni di vita del
bambino.
Il
movimento rappresentato dalla passeggiata di un paio di chilometri
al giorno è spesso una delle poche medicine prescrivibili dopo alcuni anni
di malattia.
Va quindi salvaguardata e gestita come un
rituale terapeutico irrinunciabile e troppo spesso dimenticato da
medici e care giver.
NEWS 2006: Diminuzione della Performance
Fisica può precedere esordio della Demenza
Una scarsa performance fisica è associata ad un aumento del rischio
di demenza e morbo di Alzheimer: la diminuzione della funzionalità
motoria potrebbe dunque precedere la comparsa dei danni cognitivi.
Segni identificativi associati alla progressione verso la demenza
aiuterebbero nella previsione dello sviluppo della demenza, ed
avrebbero importanti implicazioni per eventuali interventi volti a
rallentare la progressione verso queste devastanti malattie. In base
al presente studio, il rallentamento della deambulazione ed uno
scarso equilibrio potrebbero
essere correlati alla demenza, e potrebbero intervenire in uno
stadio precedente rispetto al danno cognitivo. La mancanza di forza
alla presa della mano, invece, interverrebbe durante uno stadio
successivo, quando il danno cognitivo è già evidente (Arch. Intern.
Med. 2006; 166: 1115-20). |
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IPERNUTRIZIONE ED INSULINA
Secondo un rapporto
presentato al congresso di Experimental Biology (New Orleans -
Aprile 2002) se si nutrono nel periodo post-natale dei ratti con latte
arricchito di carboidrati, si causa un cambiamento permanente nelle isole
di Langherans. Queste sono presenti nel pancreas e sono deputate alla
produzione di insulina.
Il prof. Patel del
dipartimento di biochimica della Buffalo University sostiene che questa
ricerca dà una nuova prospettiva sull'obesità focalizzandola sugli eventi
metabolici nel primo periodo di vita. Lo sviluppo di obesità o diabete può
essere collegato ad alimentazioni per neonati che comprendono cereali,
frutta e succhi ricchi di carboidrati. (TRENDS in Endocrinology and
Metabolism - vol. 13, Luglio 2002)
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ECCESSO DI ATTIVITà
FISICA E CELLULITE
Se l'attività
fisica è il mezzo migliore per mantenere un corpo asciutto e scattante e
combattere la cellulite (patologia che affligge un gran numero di donne),
l'eccesso al contrario può peggiorarla.
La causa va
ricercata nel notevole afflusso di sangue ed ossigeno che gli sforzi
eccessivi richiedono, e i tessuti cellulitici, già di per se poco vitali,
reagiscono a questa richiesta producendo localmente acido lattico che va a
peggiorare ulteriormente la situazione.
Per favorire una
riduzione del tessuto cellulitico occorrono, invece, movimenti lenti e
pacati; molto indicati: il footing molto leggero, il nuoto, la bicicletta
e la ginnastica a corpo libero, che stimolano meglio il drenaggio dei
tessuti.
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RICORDARE I SOGNI
La vitamina B6,
presa prima di dormire, sembra poter aumentare la capacità di ricordare i
sogni e la "chiarezza" del ricordo.
Una sperimentazione
svolta, presso il City College di New York, su 6 uomini e 6 donne che
hanno assunto 250 mg di piridossina pochi minuti prima del sonno, ha dato
come risultato un miglioramento della capacità di ricordare i sogni al
risveglio. I partecipanti allo studio dovevano riempire un questionario
ogni mattina al risveglio; il protocollo comprendeva tre cicli ciascuno,
composti di cinque notti di controllo o di sperimentazione con la
vitamina.
Sono state
effettuate tutte le combinazioni dei cicli e ogni sequenza di cinque notti
era distanziata dall'altra da due notti di "washout" (assenza di
somministrazione).
Sono stati poi
analizzati nei questionari, i punteggi relativi a quattro parametri dei
sogni (vivacità, bizzarria, contenuto emotivo e colore), verificando
l'eventuale effetto della piridossina.
Nelle notti
successive all'assunzione di 250 mg di vitamina B6 si sono avuti sogni
molto più vividi e colorati, con differenze, rispetto alle notti di
controllo, statisticamente significative (con dosi più basse di
piridossina - 100 mg - si sono registrati effetti intermedi).
Secondo gli
esperti, l'incremento della vividezza del materiale onirico non è dovuto
ad un effetto diretto della vitamina sulla memoria dei soggetti, ma a
un'interazione sull'architettura del sonno; la piridossina, essendo un
coenzima del metabolismo del triptofano, aumenta i livelli cerebrali della
serotonina, che sopprime la fase di sonno REM (il sonno con i sogni).
L'assunzione della
vitamina B6 poco prima di addormentarsi potrebbe cancellare i cicli di
sogno della prima parte del sonno, potenziando invece l'attività onirica
nella fase finale della notte e poiché solitamente al risveglio vengono
ricordati solo gli "ultimi sogni", ciò spiegherebbe come mai i soggetti di
questa ricerca abbiano avuto il ricordo di sogni più vivaci ed
emotivamente ricchi assumendo la piridossina e non nelle notti di
controllo.
In prospettiva
clinica, se questo effetto verrà confermato, si può pensare ad interventi
mirati a correggere particolari disturbi del sonno, anche molto gravi, che
possono insorgere spontaneamente o in seguito all'assunzione di sostanze
psicoattive.
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